Webzine Sanità Pubblica Veterinaria - Numero 26 - ottobre/novembre 2004
RISULTATI DEL PROGRAMMA DI RICERCA: SOSTENIBILITÀ DELLE PRODUZIONI ZOOTECNICHE BIOLOGICHE CON ALIMENTI OGM FREE IN UMBRIA - http://www.izsum.it/indice-spv.html
RISULTATI DEL PROGRAMMA DI RICERCA: SOSTENIBILITÀ DELLE PRODUZIONI ZOOTECNICHE BIOLOGICHE CON ALIMENTI OGM FREE IN UMBRIA
CAPITOLO 8:
INDAGINI PEDOLOGICHE E DI LAND SUITABILITY: I SUOLI DELL'UMBRIA E LA LORO SUSCETTIVITÁ ALLA COLTIVAZIONE DI FORAGGERE
Calandra R., Leccese A.
Dipartimento di Scienze Agroambientali e della Produzione Vegetale
sezione di Geopedologia Università di Perugia
LA FORMAZIONE DEL SUOLO
La genesi del suolo avviene di norma secondo tappe obbligate ed inizia sempre con la disgregazione fisica
della “roccia madre”, cioè la sua frammentazione sempre più spinta, ad opera degli
agenti fisici esterni; ad essa segue, con modalità e velocità diverse nei vari ambienti, l'alterazione
chimica dei minerali primari costituenti lo “sfatticcio di roccia” che vengono via via trasformati
in altri relativamente più solubili, che prima o poi finiscono per essere allontanati, o allo stato colloidale,
quali le argille ed i vari ossidi che, a seconda dei casi, rappresentano la “fase residuale” oppure
il cosiddetto “complesso di alterazione”.
A questo punto il suolo è pronto ad ospitare una vegetazione “pioniera” che arricchirà il
suolo in residui organici che verranno prima decomposti e poi trasformati in humus, cosicché la parte
superficiale assumerà una colorazione via via più scura (fino a nera), i processi di disgregazione
avverranno a profondità sempre maggiori e quelli di alterazione interesseranno spessori sempre più
consistenti.
Come ultima fase della evoluzione del suolo, intervengono fenomeni di trasferimento di certi composti al suo
interno: quelli più frequenti nel nostro ambiente hanno andamento discendente e sono rappresentati
dall'allontanamento (fuori del “solum”) dei carbonati e, successivamente, dalla lisciviazione,
consistente nello spostamento da un orizzonte superiore (E) ad uno sottostante (B) dell'argilla.
I SUOLI DELL'UMBRIA
L'Umbria presenta numerosi tipi di suoli come conseguenza delle diverse litologie affioranti, degli assetti
morfologici complessi e di situazioni altimetriche che si sviluppano in oltre 2.300 metri di dislivello.
Sulla base dei dati dell'archivio pedologico della Facoltà di Agraria di Perugia, raccolti in decenni
di attività, è possibile fornire in modo estremamente sintetico le caratteristiche possedute dai
più diffusi suoli umbri, i quali sono riconducibili alle seguenti tipologie:
- Suoli poco evoluti, costituiti da un orizzonte umominerale (A), a volta sottile, molto simile al materiale
geologico da cui deriva, e che poggia direttamente su un substrato friabile (C) o su roccia dura (R).
Si hanno quindi profili di tipo AC (Regosuoli) oppure AR (Litosuoli), diffusi su una moltitudine di substrati,
lungo i versanti collinari e montuosi, in coincidenza di superfici di erosione. Qualche Regosuolo, specialmente
nelle colline argillo-marnose, viene ancora arato con grave rischio di ribaltamento laterale della trattrice
e con la certezza che ad un prodotto incerto e comunque scarso, corrisponderà una perdita di suolo per
erosione idrica pari a molte decine di tonnellate ad ettaro ogni anno, come dimostra la presenza nelle aree
limitrofe di forme di erosione di tipo calanchivo.
Questi suoli sono decisamente da sottrarre all'uso agricolo per essere destinati ad usi silvo-pastorali previa
adozione di misure anti-dissesto, prima tra tutte la regimazione delle acque. Altrimenti, non vi è
possibilità alcuna di contenere entro limiti accettabili l'impatto delle operazioni agricole, salvo ad
immaginare soluzioni al limite del proponibile come la semina su “sodo”, o addirittura fantasiose,
come il ritorno alla trazione animale.
Altri suoli caratterizzati da una scarsa evoluzione, ma decisamente più profondi, li troviamo nelle aree
interessate da ricoprimenti molto recenti come le zone della pianura alluvionale più vicine ai principali
corsi d'acqua (suoli alluvionali), e le falde detritiche frequenti alla base dei pendii (suoli detritico-colluviali).
Le loro caratteristiche, come in tutti i suoli giovani, derivano in gran parte dalla natura geologica del materiale
apportato e dalle condizioni dinamiche e morfologiche che hanno presieduti alla messa in posto.
Avremo quindi depositi e poi suoli alluvionali estremamente calcarei (con la sola esclusione dei terreni attorno
al Lago Trasimeno e delle valli a nord di questo), spesso con vistosi difetti tessiturali, dall'eccesso di argilla
(es.: Moiano) o di limo (es.: media valle del Tevere) a quello di sabbia (es.: Panicarola) o di frammenti grossolani
(es: Valle del Nera), sempre molto poveri in sostanza organica (frequentemente non si raggiunge neppure l'uno
per cento) e quindi con un pessimo stato strutturale.
Tali terreni saranno infatti rispettivamente massivi ed asfittici, specialmente se posti in zone depresse o
di difficile allontanamento delle acque, oppure andranno incontro alla formazione di una crosta, oppure ancora
saranno estremamente sciolti ad aridi.
I suoli detritico-colluviali tendono generalmente ad un eccesso di frammenti grossolani (ben al di là del
quantitativo che basterebbe a stemperare l'altrettanto generalizzato alto tenore in argilla) e ad un basso tenore
in sostanza organica uniscono, stante la pendenza pur non eccessiva, una moderata ma non trascurabile perdita di
suolo per erosione idrica.
Non si ripeterà mai abbastanza che tutte le situazioni negative elencate a carico di questi due tipi
di suolo potrebbero essere alleviate o addirittura eliminate nel medio periodo aumentando la diffusione dei
prati di leguminose, i sovesci e qualunque altro intervento volto ad incrementare la quantità di sostanza
organica umificabile, e successivamente di humus, in questi terreni; molti di essi, infatti, essendo profondi,
facilmente percorribili, meccanizzabili ed irrigabili, recuperando un buono stato fisico (eliminando quindi,
ad esempio, i valori estremi per eccesso o per difetto della permeabilità) potrebbero essere definiti
“buoni” ed in certi casi “ottimi”.
- Suoli nei quali è presente un orizzonte di alterazione (Bw), quindi più evoluti dei precedenti
ed aventi profili di tipo ABwC, quindi classificabili come Suoli Bruni o in via di brunificazione, diffusi sui
depositi fluviali dei terrazzi bassi (più recenti) e sui rilievi collinari tufacei, sabbioso-conglomeratici,
arenacei ed argillo-marnosi, sempre che l'inclinazione del versante non assuma valori proibitivi.
Trattandosi del gruppo più diffuso ed eterogeneo, le caratteristiche possedute saranno descritte distintamente
per le differenti situazioni geo-morfologiche.
- Alluvioni dei terrazzi più bassi (al confine con i suoli alluvionali già descritti e sopraelevati
rispetto a questi di pochi metri): si tratta di suoli profondi (a volte anche >120 cm), non o poco calcarei,
poveri in frammenti grossolani, moderatamente dotati in sostanza organica, aventi reazione tendenzialmente neutra,
tessitura franca e struttura abbastanza evidente e stabile. Non presentano problemi di erosione (come quelli
che seguono) né di idromorfia (come qualcuno dei precedenti).
- Rilievi tufacei: si hanno limitatamente alla zona dell'Orvietano; i suoli sono abbastanza profondi (60-100
cm), non calcarei, neutri o sub-acidi, ben strutturati ed a tessitura equilibrata: non presentano quindi grossi
problemi.
- Rilievi collinari sabbioso-conglomeratici: li troviamo tanto nella zona centrale, quella del già citato
colmamento lacustre (da Montone a Perugia, da Pietrafitta a Montefalco e da Dunarobba alla Conca Ternana), che
a sud-ovest (come nella fascia da Cittá della Pieve a Baschi). I suoli in questo caso sono abbastanza
profondi (60-100 cm), moderatamente o non calcarei, neutri, franchi o franco sabbiosi, privi di scheletro e
moderatamente dotati in sostanza organica; la struttura è generalmente abbastanza buona, divenendo debole
nel caso dei terreni più sabbiosi.
Anche in questo caso non mancano esempi di suoli fortemente erosi, anche se meno estesi che nel caso precedente.
Da ricordare invece il passaggio, sulle zone di spartiacque stondato, ai suoli lisciviati di cui si dirà più
avanti.
- Rilievi arenacei: ricollegabili, questi, sempre alla formazione del "Macigno", sono particolarmente diffusi
nell'Umbria nord-occidentale, con altri esempi nella parte centrale (Bettona, Piegaro, ecc.).
I terreni di queste aree sono in generale moderatamente profondi (50-80 cm), non calcarei, da neutri a fortemente
acidi, poveri in scheletro ma anche in sostanza organica; essendo inoltre la struttura franco-sabbiosa o sabbioso-franca,
si viene a determinare a volte debole.
Questi suoli, in condizioni “conservative”, evolvono verso i suoli lisciviati e verso i suoli bruni
acidi (aree a tipica vocazione per il castagno), mentre nelle zone in erosione il terreno regredisce a Litosuolo.
- Rilievi collinari argillo-marnosi: sono diffusi nell'Umbria nord-orientale, dove affiorano abbondantemente
la formazione Marnoso-Arenacea, quella delle Argille scagliose, ecc., nell'Umbria sud-occidentale dove sono
presenti argille marine Plioceniche, e nella parte centrale della Regione, dove troviamo le argille sedimentatesi
nell'antico “Lago Tiberino”.
L'impermeabilità del materiale ha privilegiato lo scorrimento superficiale rispetto all'infiltrazione,
quindi ha favorito l'erosione e ridotto l'allontanamento dei carbonati; per tale motivo vi troviamo terreni
moderatamente profondi, da mediamente a fortemente calcarei, alcalini o sub-alcalini, a tessitura franco-argillosa
o franco-limosa, poveri in sostanza organica e con struttura grossolana e poco resistente.
In vaste aree l'erosione accelerata, quella cioè indotta dall'errato o esagerato sfruttamento agricolo
del suolo, ha fatto regredire questi terreni allo stadio di Regosuolo.
Se i suoli dei bassi terrazzi e dell'altopiano tufaceo non presentano gravi problemi, alcune cause di preoccupazione
compaiono nella collina sabbioso-conglomeratica ed arenaceo, divenendo pesanti in quella argillo-marnosa, soprattutto
sottoforma di decadimento delle potenzialità produttive e di rischio di perdita di suolo per erosione
idrica. Come si è ripetutamente ricordato, il progressivo acuirsi di tali problematicità è il
risultato combinato del peggioramento della struttura (a sua volta dovuto al diminuire del tenore in sostanza
organica), della diminuita disponibilità di alcuni elementi nutritivi a causa dei valori estremi assunti
dal pH (vuoi per grave desaturazione, vuoi per eccesso di carbonati) e di difetti tessiturali (a loro volta
più seri nei terreni più erosi).
Se nella gran parte delle situazioni si può sperare in significativi miglioramenti in periodi ragionevolmente
brevi attuando le misure citate nel paragrafo relativo ai Suoli poco evoluti, in altri casi (segnatamente nella
collina argillosa) queste dovranno essere integrate da veri e propri interventi antierosivi, dall'accorciamento
della lunghezza dei campi e alla regimazione delle acque meteoriche, ad opere poco diverse da quelle classiche
della bonifica montana; in altri casi ancora sarebbe in forse, meglio pensare alla riconversione a prato-pascolo
o addirittura ad una forestazione di tipo produttivo.
- Suoli Calcimorfi, in essi il profilo è riconducibile a tipi già descritti ma i processi formativi
e le caratteristiche fisico-chimiche sono fortemente legate al materiale di origine, costituito appunto da roccia
calcarea (Calcari marnosi e selciferi della Serie Umbro-Marchigiana) e dai prodotti del suo disfacimento.
Nonostante ciò, al variare delle condizioni geomorfologiche e climatiche numerosi parametri vengono gradualmente
a modificarsi per cui si passa da suoli sottili, sub-alcalini e ricchi di frammenti rocciosi delle pendici più
ripide ed erose dei versanti caldi e delle basse quote, a suoli profondi, acidi, privi di scheletro e di carbonati
e ricchi di humus tipici delle radure sommitali e di alcuni pendii poco acclivi dei versanti freddi d'alta quota.
Questi casi estremi, il primo per quanto detto riguardo ai Litosuoli, il secondo per ovvi motivi climatici, non
ricadono però in situazioni di interesse agricolo.
Tornando quindi ai Suoli Calcimorfi di bassa montagna, cioè delle pendici poste a quote ed aventi pendenze
ancora conciliabili con l'agricoltura, distinguiamo quelli sviluppatisi su roccia dura da quelli che si trovano
su superfici stabili ma più o meno interessate in passato da fenomeni di accumulo di detrito o di colluvionamento:
ovviamente i primi saranno meno profondi ma più ricchi in sostanza organica e meno calcarei degli altri,
che invece saranno più ricchi di frammenti grossolani e più aridi (saranno i classici terreni da
olivo delle pendici soleggiate, come quelle da Assisi a Spoleto).
Anche in questo caso, anche se per finalità diverse, l'incremento della sostanza organica è fortemente
auspicabile: esso infatti garantirebbe il potenziamento della struttura con deciso effetto antierosivo, in parziale
sostituzione degli interventi sistematori e delle altre misure volte al contenimento della perdita di suolo
per erosione.
- Suoli Lisciviati, con profili di tipo AEBtC o più differenziati, dove è presente un orizzonte
di impoverimento (E) ed uno sottostante di accumulo di argilla illuviale (Bt); tali suoli sono particolarmente
diffusi nelle aree pianeggianti stabili, quali quelle dei terrazzi più alti, cioè in aree di antica
origine fluviale o lacustre.
Che li si rinvenga nelle colline ad ovest del Lago Trasimeno o nella Conca di Gubbio o ancora ad ovest di Montecastrilli,
le loro caratteristiche, legate ai lunghi tempi formativi, sono decisamente simili nelle varie zone: essi sono
caratterizzati da una notevole profondità (si superano con facilità i due metri), da tessiture
franco-sabbiose nella parte alta del profilo e decisamente argillose in basso; questo orizzonte argilloso spesso
sostiene una falda temporanea modesta ma capace di interferire pesantemente con la produzione agraria (tanto
che in queste aree si ha una presenza di boschi molto maggiore che nelle altre aree pianeggianti).
Si tratta di suoli del tutto privi di carbonati (è possibile solo la presenza di concrezioni calcaree
al di sotto dell'orizzonte argilloso), con modeste dotazioni di sostanza organica relegata nei primissimi centimetri
e con reazione da moderatamente a fortemente acida (nei casi estremi il suolo si presenta fortemente desaturato).
Purtroppo questi suoli accomunano varie problematicità: se anche si riuscisse ad alzare il pH con apporti
di calcare ed a restituire una struttura stabile alla parte alta del profilo, rimarrebbe da risolvere il problema
dell'idromorfia stagionale di questi terreni, risultato impensabile da ottenere con uno scasso e difficile
(e comunque assai costoso) anche con un drenaggio per quanto fitto, stante la profondità e la impermeabilità
del materiale.
Vi sono, infine, suoli tipici di specifiche e ristrette aree, prodottisi a seguito di particolari condizioni
ambientali che, vista la loro esigua estensione, vengono citati a titolo di cronaca.
Esempi tipici di tali realtà sono i Suoli Idromorfi Organici dei piani e del Padule di Colfiorito, nonché
delle marcite di Norcia o dell'altopiano di Castelluccio ed i Vertisuoli (suoli ricchi di argille espandibili)
rilevabili su deboli pendii e compluvi della collina Plio-pleistocenica ed in piccole aree depresse della Valle
Umbra.
LA VALUTAZIONE DELLA SUSCETTIVITÀ D'USO DEL TERRITORIO
GENERALITÀ
La valutazione del territorio per un uso definito (Land Suitability), nel suo stato attuale o dopo l'effettuazione
di alcuni miglioramenti, va intesa come una interpretazione delle caratteristiche del territorio che si ritengono
importanti per l'uso considerato, al fine di ottenere una carta derivata nella quale aree omogenee sono assegnate
ad una data classe di attitudine secondo uno schema preordinato.
Trattandosi di un'utilizzazione del territorio a scopi agricoli o forestali, i caratteri che debbono essere
presi in considerazione sono quelli ambientali, sociali ed economici.
I principi fondamentali che si applicano ai metodi impiegati per la valutazione delle terre sono i seguenti:
- L'attitudine delle terre è valutata e classificata in funzione di modi precisi di utilizzazione.
- I tipi specifici di uso possono essere ampi, come un'agricoltura irrigua, un allevamento di bestiame, la
forestazione, ecc.: oppure riguardare tipi di utilizzazione più precisi, ad esempio, mais da granella,
frumento duro, un allevamento suinicolo, una coltura legnosa di pioppo, ecc.
- La valutazione richiede il confronto dei vantaggi ottenuti in rapporto ai costi dei differenti tipi di uso.
- La valutazione deve tener conto delle caratteristiche fisiche, economiche e sociali della zona.
- E' necessario un approccio multidisciplinare.
Struttura della classificazione secondo il metodo della F.A.O.
Esistono quattro categorie o livelli decrescenti di classificazione: ordini, classi, sottoclassi e unità di
attitudine all'uso del territorio, definite ognuna in base a principi del tutto differenti:
- Gli ordini di attitudine delle terre: indicano il tipo di attitudine di un territorio o se esso non è adatto
per il particolare uso preso in considerazione. Gli ordini vengono definiti soltanto su base economica.
- Le classi di attitudine delle terre: indicano i gradi di attitudine all'interno di un ordine e quindi vengono
definite in base al numero ed intensità delle limitazioni fisiche del territorio che abbiano implicazioni
economiche.
- Le sottoclassi e le unità di attitudine delle terre, eventualmente, indicano i tipi di limitazioni
o i principali tipi di miglioramenti necessari all'interno di una classe; vengono definite, quindi, in base
alle caratteristiche del territorio aventi un peso importante sul tipo di lavori di miglioramento richiesti
per un uso ottimale. Nel caso in questione non sono state prese in considerazione data la scala di restituzione
del lavoro (1:100.000).
Tali categorie sono valutate separatamente per ciascun tipo di uso del territorio considerato e relativamente
a ciascuna unità cartografica situata nell'area di rilevamento.
Le stesse categorie sono applicabili sia ad una valutazione delle terre, sia alla stima di una suscettibilità
d'uso attuale o potenziale.
ORDINI DELL'ATTITUDINE ALL'USO
Ordine “S” (Adatto): Tratti di territorio su cui ci si attende che l'uso prolungato del tipo previsto
dia i benefici che giustifichino i costi ricorrenti richiesti senza che esistano rischi di danni inaccettabili
alle risorse.
Ordine “Sc” (Condizionatamente adatto)
Ordine “N” (Non adatto): Tratti di territorio che hanno qualità che precludono un uso prolungato
del tipo sotto esame.
CLASSI DELL'ATTITUDINE ALL'USO
Classe “S 1” (Altamente adatto): Tratti di territorio che non pre-sentano limitazioni all'applicazione
prolungata di un dato uso o solamente limitazioni minori che non ridurranno in modo significativo la produttività e
non faranno alzare i costi al di sopra di un livello accettabile.
Classe “S 2” (Moderatamente adatto): Tratti di territorio aventi limitazioni che sono moderatamente
gravi per l'uso prolungato considerato; le limitazioni ridurranno la produttività o aumenteranno i costi
degli investimenti richiesti cosicché i vantaggi globali, sebbene ancora interessanti, saranno apprezzabilmente
inferiori a quelli della classe S1.
Classe “S 3” (Marginalmente adatto): Tratti di territorio aventi un insieme di limitazioni gravi
per un'applicazione prolungata di un dato uso e che ridurranno la produttività ad un livello tale da
rendere economicamente marginale l'attività.
Classe “N 1” (Attualmente non adatto): Tratti di territorio aventi limitazioni che possono essere
sormontabili nel tempo, ma che non possono essere corrette con le conoscenze attuali ad un costo accettabile;
queste limitazioni sono così gravi da precludere l'uso vantaggioso prolungato delle terre nella maniera
data.
Classe “N 2” (Permanentemente non adatto): Tratti di territorio aventi limitazioni tanto gravi da
precludere qualsiasi possibilità di uso vantaggioso e prolungato del territorio nella maniera data.
Classe “N C” (non classificato): Tratti di territorio che non sono stati valutati per un dato uso,
perché l'applicazione dell'uso a queste aree è preclusa dalle supposizioni iniziali della valutazione.
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI EROSIONE
GENERALITÀ
L'erosione “normale” è il processo geomorfico naturale per cui la superficie del territorio,
attaccata dai vari agenti climatici, fisici, biologici ed antropici, subisce una continua demolizione; a questo
processo di asportazione sono connessi quelli di trasporto dei detriti così originati e di deposito degli
stessi.
Abbiamo poi l'erosione “accelerata”, conseguenza dell'esercizio delle attività umane ed in
particolare dell'agricoltura; essa rappresenta un elemento assolutamente negativo. Le sue conseguenze sono dannose
per le profonde alterazioni dell'assetto superficiale del suolo, per il regime delle acque e per il continuo
assottigliamento dello “strato arabile” dei suoli agrari o degli “orizzonti di superficie”
dei suoli naturali, che racchiudono la maggior parte della fertilità.
La conoscenza del rischio di erosione sotto differenti tipi di gestione. È quindi indispensabile per
lo studio delle potenzialità e delle limitazioni d'uso dei suoli, allorché vengano programmati
interventi sul territorio.
Poiché gran parte del territorio umbro è costituito da rocce facilmente erodibili, le forme del
rilievo sono poco stabili ed in rapida evoluzione. Su questi terreni il fenomeno dell'erosione si manifesta
spesso in modo severo, favorito anche dalle condizioni meteorologiche (in particolare da lunghi periodi siccitosi
e caldi alternati a periodi di intensa piovosità) e dalla scarsa copertura vegetale.
I FATTORI
Nella valutazione del rischio di erosione potenziale, si considera l'erosione una funzione di molteplici fattori
interdipendenti o legati ad elementi naturali a loro volta variabili.
Clima - La perdita di suolo è causata dall'impatto delle gocce di pioggia sul terreno
e dalla turbolenza del ruscellamento che trasporta le particelle terrose già distaccate, quindi la capacità
erosiva di una pioggia dipende dall'energia cinetica totale, dalla sua quantità, dalla dimensione delle
gocce e dalla loro velocità.
Proprietà del suolo - Si fa riferimento alle proprietà che riguardano strettamente
la parte superficiale del suolo e la rendono più o meno resistente all'attacco degli agenti erosivi, ed
a quelle che, conferiscono al terreno o ad una roccia sciolta una maggiore o minore permeabilità.
Premesso che l'erodibilità definisce la resistenza del suolo sia al distacco che al trasporto, il ruolo
della tessitura del suolo è particolarmente significativo, essendo le perdite di suolo correlate soprattutto
al contenuto di limo.
Altri fattori di cui si deve tenere conto sono il contenuto di sostanza organica e la stabilità di struttura
del suolo, strettamente interconnessi tra loro.
Anche la velocità di infiltrazione dell'acqua o permeabilità dei differenti orizzonti è un fattore
determinante, essendo la quantità di acque di ruscellamento sensibilmente ridotta dalla permeabilità
del terreno.
La profondità dello strato lavorato, o dell'orizzonte superficiale, agisce sull'infiltrazione; quando
lo strato superiore è sottile ed il sottosuolo è stato rovesciato e mescolato con lui, il contenuto
in sostanza organica dello strato lavorabile così ottenuto è più debole, gli aggregati sono
meno stabili e l'erosione più intensa.
Fattori topografici - La ripidità del pendio è uno dei fattori più importanti
dell'erosione dei suoli. Già con pendenze di poco maggiori del 10% essa può essere molto seria
e provocare ostacoli alle coltivazioni. L'acclività del pendio influenza l'erosione poiché, accrescendo
la velocità dell'acqua di ruscellamento, facilita il distacco e l'asportazione del suolo; inoltre, allorché
l'inclinazione del pendio aumenta, è meno elevata la quantità di acqua trattenuta in superficie
da solchi o depressioni.
Copertura vegetale - Il ruolo principale della vegetazione sta nell'intercettare le gocce di
pioggia così che la loro energia cinetica viene dissipata dalle foglie piuttosto che impartita al suolo.
Inoltre l'azione si esplica anche nel ridurre la velocità del vento e dello scorrimento superficiale e,
attraverso il reticolo radicale, aumentando la capacità di infiltrazione.
Per un'adeguata protezione contro l'erosione, almeno il 70% della superficie del terreno dovrebbe essere coperto
con continuità, ed esistono notevoli differenze nell'efficacia delle diverse coperture a proteggere il
suolo; l'erosione quindi rischia di fare i maggiori danni nei suoli coltivati.
IL CALCOLO
La metodologia più utilizzata è quella derivante dalla “Universal Soil Loss Equation”
(U.S.L.E.) proposta di Wischmeier e Smith, ed espressa dal seguente modello parametrico moltiplicativo.
E = R x K x LS x P x C
dove:
E: asportazione di suolo (t/ha.anno)
R: erosività delle piogge
K: erodibilità del suolo
L ed S: lunghezza e pendenza dei campi o delle pendici
C: coefficiente di copertura esercitata dal tipo di utilizzazione colturale
P: pratiche agronomiche antierosive eventualmente adottate.
I valori raggiunti dall'indice di aggressività climatica (R) per l'Umbria, oscillano tra le 110 unità
di Castiglione del Lago e le 402 unità di Valsorda. Tali valori, oltre ad indicare una forte variabilità
nel potere erosivo delle piogge, mostrano comunque una notevole aggressività climatica tipica dell'ambiente
collinare e montano.
Per il fattore K, relativo all'erodibilità del suolo, i valori sono compresi tra 0,08 e 0,50, dimostrando
anche per questo parametro una grande variabilità in funzione soprattutto della litologia dei substrati
e della profondità dei suoli.
In particolare i valori più bassi di K sono relativi ai terreni derivati da calcari duri (0,08 - 0,27),
quelli più elevati ai suoli su marne (0,25 - 0,50), mentre sulle arenarie, sui depositi alluvionali e
sui detriti si hanno valori medio-elevati compresi tra 0,20 e 0,36.
Il calcolo del fattore topografico LS, è stato fatto con riferimento a situazioni reali osservate prendendo
come valori massimi delle acclività e delle lunghezze rispettivamente 50% e 300 m per i seminativi,
60% e 200 m per i pascoli e 40% e 100 m per gli incolti.
Tali situazioni hanno portato a valori del fattore LS a volte abbastanza elevati, compresi tra 0,2 e 18 per
i seminativi, tra 1,4 e 69 per i pascoli, tra 1,2 e 14 per gli incolti.
Il valore medio del fattore C per l'intero anno nei seminativi in rotazione varia tra 0,2 e 0,4, per terreni
adibiti a pascolo permanente (valori adottati dal "Soil Conservation Service" - U.S.D.A.) risulta compreso tra
0,003 e 0,1 e per gli incolti tra 0,012 e 0,042.
Infine, per il fattore P (tecniche atte a proteggere il suolo dall'erosione quali lavorazioni per traverso, coltivazione
a strisce, sistemazione a terrazzi, ciglionamento, gradonamento e regimazione delle acque) in assenza di sistemazioni
o quasi, si è assunto P=1; in presenza di interventi sistematori via via più significativi, valori
di P compresi tra 0,9 e 0,5.
Dai dati in tabella appare in maniera evidente come la probabilità di fenomeni erosivi molto intensi sia
correlata a qualsiasi uso del suolo, anche se più marcatamente nelle aree destinate a seminativi dove
l'attività antropica ha provocato le maggiori modificazioni all'equilibrio ambientale.
Per i terreni arati, infatti, le asportazioni di suolo medie previste possono arrivare fino ad un massimo di
200 t/ha, quantità di gran lunga superiori alle perdite massime tollerabili in relazione alla profondità
del suolo ed alla quota di riformazione.
Per i terreni destinati a pascolo le perdite potenziali di suolo variano da 1 a 20 t/ha, per gli incolti si hanno,
invece, valori minori, oscillanti da 55 a 87 t/ha.
Note le presumibili perdite di suolo nell'attuale stato di gestione delle terre e la relativa tolleranza per
una certa area, in base alle sue caratteristiche, si dovrà accertare a quale combinazione di colture,
tecniche colturali ed opere di sistemazione si debba pervenire per mantenere entro limiti accettabili le perdite
di suolo per erosione in alcune delle situazioni più precarie.
Nel caso dei pascoli degradati o a rischio si potrà provvedere al rinfittimento della copertura erbacea
mediante risemina del prato, concimazione e soprattutto riposo, cioé evitando un eccesso di pascolamento;
un miglioramento della situazione si otterrà agendo sulla lunghezza delle pendici eseguendo le opportune
sistemazioni idrauliche.
Per i seminativi si potrebbero adottare vari tipi di interventi, singoli o in combinazione, quali il miglioramento
delle tecniche colturali, attuando avvicendamenti colturali che lascino ampi spazi alle foraggere poliennali (eventualmente
al maggese) e minimo ai rinnovi, riducendo il periodo tra le lavorazioni e la crescita del vegetale (anche se
in certe annate ciò potrebbe mettere a rischio la produzione), aumentando in ogni modo il tasso di sostanza
organica nel terreno a beneficio del suo stato strutturale, diminuendo la lunghezza dei campi, adottando tipiche
sistemazioni di collina, lavorando, ove possibile, in traverso o adottando almeno un “rittochino modificato”,
introducendo colture (o semplicemente varietà) più “coprenti” e così via.
Se la sommatoria di tutti gli interventi possibili portasse ad un valore ancora non accettabile, è indispensabile
una riconversione colturale.
LA SUSCETTIVITÀ D'USO DEL TERRITORIO PER LE FORAGGERE
Confrontando, sulla base dei presupposti della suscettività d'uso e del rischio di erosione del territorio
appena citati, le caratteristiche pedoclimatiche del territorio umbro e le esigenze delle colture, abbiamo redatto
9 tabelle specifiche per le varie destinazioni foraggiere ed una riepilogativa delle utilizzazioni più intensive
possibili nelle varie condizioni, le quali sono servite come base per la realizzazione della cartografia finale.
BIBLIOGRAFIA
Giordano A. (1999) - Pedologia. UTET.
Giovagnotti C., Calandra R., Leccese A., Giovagnotti E. (2003) - I paesaggi pedologici e la carta dei suoli dell'Umbria. Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura. Perugia.
Giovagnotti E., Giovagnotti C., Calandra R., Leccese A. (2000) - Caratteristiche pedoclimatiche della Regione Umbria - C.C.I.A.A.
Osservatorio Nazionale Pedologico per la Qualità del Suolo (1997) - Metodi di analisi fisica del suolo. A cura della Collana di Metodi Analitici per l'Agricoltura diretta da Paolo Sequi. Coordinatore Marcello Pagliai. Ed. Franco Angeli, Milano.
Osservatorio Nazionale Pedologico per la Qualità del Suolo (2000) - Metodi di analisi chimica del suolo. A cura della Collana di Metodi Analitici per l'Agricoltura diretta da Paolo Sequi. Coordinatore Pietro Violante. Ed. Franco Angeli, Milano.
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