Webzine Sanità Pubblica Veterinaria - Numero 26 - ottobre/novembre 2004
RISULTATI DEL PROGRAMMA DI RICERCA: SOSTENIBILITÀ DELLE PRODUZIONI ZOOTECNICHE BIOLOGICHE CON ALIMENTI OGM FREE IN UMBRIA - http://www.izsum.it/indice-spv.html

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RISULTATI DEL PROGRAMMA DI RICERCA: SOSTENIBILITÀ DELLE PRODUZIONI ZOOTECNICHE BIOLOGICHE CON ALIMENTI OGM FREE IN UMBRIA

CAPITOLO 2:
LE AZIENDE ZOOTECNICHE BIOLOGICHE IN UMBRIA: VALUTAZIONE DEL SISTEMA D'ALLEVAMENTO, DEGLI ALIMENTI E DEI PIANI DI RAZIONAMENTO PER LE SPECIE RUMINANTI

Trabalza Marinucci M., Laliccia R., Bececco I., Acuti G, Antonini C. e Olivieri O.
Dipartimento di Tecnologie e Biotecnologie delle Produzioni Animali, Università degli Studi di Perugia



INTRODUZIONE

A motivo della particolare evoluzione della normativa, che è stata interessata da un decorso decisamente più lento rispetto a quello delle produzioni vegetali, la zootecnica biologica ha cominciato a diffondersi in tempi relativamente recenti.
Pur tuttavia negli ultimi anni il numero delle aziende zootecniche biologiche è andato aumentando rapidamente in risposta ad un'esigenza, sempre più diffusa da parte dei consumatori, di prodotti "naturali" o comunque in grado di rispondere a standard più elevati di sicurezza per l'animale, l'uomo e l'ambiente (Didero, 2004; Saltalamacchia e coll., 2003).
A questa esigenza segue quella degli allevatori di conoscere in maniera più appropriata il metodo biologico e di fare chiarezza in un ambito legislativo che offre ancora alcune dubbie interpretazioni.

La ricerca scientifica ha cominciato a dedicarsi alle problematiche della zootecnia biologica, come gli aspetti quantitativi delle produzioni, la loro qualità e le difficoltà della fase di conversione solo di recente; mentre la letteratura inerente gli aspetti economici, sia nazionale che internazionale, è piuttosto ricca, resta frammentaria quella relativa alla parte zootecnica e più in particolare a quella alimentare (Ansaloni e coll., 1995; Khalili e coll., 2002; Isart e Llerena, 1999).

Un problema oggettivo che si pone ai ricercatori è lo studio degli allevamenti zootecnici biologici in rapporto a quelli convenzionali, in considerazione del fatto che il confronto pone spesso problemi di confusione di fattori.
E' infatti difficile valutare la qualità di un prodotto convenzionale in rapporto a quella di un prodotto biologico quando non solo sono diverse le tipologie di razionamento, ma anche il peso vivo degli animali, le condizioni di stabulazione, il livello produttivo e molto spesso le razze prese in considerazione.

I punti critici della zootecnia biologica, relativi alla conversione o alla nuova creazione di un azienda, sono riferibili essenzialmente al numero di animali per unità di superficie, alla necessità di disporre di pascolo, all'approvvigionamento alimentare e alla difficoltà di formulare la razione alimentare nel rispetto di determinati vincoli.
Queste criticità riflettono l'impostazione generale dell'agricoltura biologica, che esige un legame stretto tra animali e terra. Gli animali all'interno dell'azienda permettono che il ciclo ecologico possa essere chiuso ed assicurano la produzione di letame, ammendante per il terreno e principale fonte di sostanza organica nell'agricoltura biologica; a loro volta richiedono che ci siano aree da destinare a produzione di foraggio, impedendo così rotazioni troppo strette delle colture e favorendo la fertilità del terreno.
Anche il criterio dei chilogrammi di azoto di provenienza animale, calcolati per ettaro e su base annua, è un vincolo posto dalla normativa a tutela dell'equilibrio animale-ambiente, in quanto sistema di regolazione indiretto del numero di capi per unità di superficie. La presenza del pascolo è di fondamentale importanza per il benessere animale e, nel caso in cui non esistano pascoli, devono essere previste aree liberamente accessibili agli animali con un minimo di superficie per capo.
Per la realizzazione di un sistema aziendale chiuso è anche necessario che l'approvvigionamento degli alimenti sia tendenzialmente di tipo interno. Questo pone senza dubbio un'altra serie di problemi relativi alla superficie aziendale minima, sufficiente cioè alla produzione di foraggio e/o concentrati per gli animali allevati.

Alla luce delle argomentazioni fin qui ricordate, in questa indagine si sono prese in considerazione alcune delle aziende zootecniche biologiche esistenti in Umbria (e precisamente quelle che allevano ruminanti), con il tentativo di descriverne le caratteristiche tecniche principali e di evidenziare i punti critici riscontrabili nell'approvvigionamento degli alimenti e nella formulazione delle razioni.

MATERIALI E METODI
Sono state rilevate la tipologia di allevamento, le caratteristiche strutturali e le prestazioni produttive degli animali nelle 15 aziende zootecniche biologiche Umbre che, avendo ultimato il periodo di conversione, hanno fornito il consenso all'espletamento dell'indagine da parte del gruppo di lavoro.
E' stata praticata un'indagine relativa alle specie animali allevate (l'indagine è stata ristretta ai ruminanti) e alla razza all'interno della specie.
In ciascuna azienda sono state rilevate le principali caratteristiche strutturali (tipo di ricoveri e di fienili presenti nel corpo aziendale, attrezzature e relativo anno di costruzione), nonché le superfici adibite a pascolo in rapporto alle modalità di allevamento praticate.
Nell'ambito di ogni specie di ruminante allevata sono state descritte le variazioni della numerosità nel periodo di studio oggetto dell'indagine. Tali variazioni sono inoltre state riportate a livello di categoria all'interno della specie.
Sono stati analizzati infine gli indicatori utili alla descrizione della produttività e dell'efficienza riproduttiva (rapporto maschi/femmine, calendario riproduttivo, età al primo parto, tasso di fertilità e di gemellarità, quota di rimonta, numero di nati, mortalità, età allo svezzamento e alla macellazione e peso alle età tipiche - nascita, svezzamento e macellazione).

La rappresentatività del campione per il rilevamento del peso vivo, qualora le condizioni aziendali lo hanno reso possibile, è stata valutata sulla base della consistenza numerica dell'allevamento e della variabilità del parametro (Pilla, 1985).
Per ciò che concerne l'alimentazione, è stato rilevato il consumo di alimenti conservati (fieno e insilato e/o concentrati semplici o composti) ed è stato stimato il consumo di foraggio verde assunto al pascolo mediante equazioni di previsione, ove le condizioni di allevamento lo hanno consentito (Keane e O'Riordan, 1998; Jarrige, 1988; NRC, 1985).
Delle fonti alimentari è stata inoltre determinata la provenienza e la loro natura (biologico o convenzionale).
Gli alimenti sono stati sottoposti a campionamento durante le visite programmate in azienda (1 campione per ogni partita di concentrato e/o foraggio - erba, fieno e/o insilato - prelevato a livello di silos o fienile mediante apposita sonda o da tagli del cotico erboso effettuati secondo la tecnica dei "random quadrats") (Trabalza Marinucci e coll., 1998); e quindi ad analisi chimica-bromatologica (contenuto in proteina greggia (PG), lipidi greggi, ceneri greggie, NDF, ADF, ADL e carboidrati non strutturali) secondo le metodiche ufficiali dell'Associazione Scientifica di Produzione Animale (Martillotti e coll., 1987).

A partire dalla composizione chimica è stato possibile stimare per ogni alimento la digeribilità della sostanza organica (SO), la digeribilità della proteina ed il contenuto in energia netta per l'accrescimento e la lattazione (Jarrige, 1988). Sono infine stati valutati i piani di razionamento aziendali e la loro evoluzione nel corso del periodo di studio, in rapporto alle disponibilità foraggiere e all'andamento stagionale e di mercato.
La loro compatibilità con le esigenze nutrizionali degli animali e la qualità delle produzioni è stata pure oggetto di studio.
Per la stima dei fabbisogni nutrizionali degli animali si è fatto ricorso agli standard riportati nella letteratura internazionale (Jarrige, 1988; NRC, 2000; NRC, 1985; NRC, 1988).
Nell'impossibilità di valutare l'evoluzione dell'ecosistema sotto l'impatto del pascolo (a causa delle limitazioni temporali imposte dal progetto), i rilievi sono stati effettuati sulla base della situazione corrente e mediati per tipologia di allevamento: sono state pertanto rilevate le caratteristiche geografiche e delle aree adibite a pascolo, la loro estensione in rapporto al numero di animali allevati in azienda, le modalità di pascolamento (continuo/turnato) ed il tipo di utilizzazione nell'arco dell'anno (Abbadessa e coll., 1999).

RISULTATI E DISCUSSIONE


LA SPECIALIZZAZIONE DELL'ALLEVAMENTO
La maggior parte delle aziende esaminate pratica l'allevamento bovino (47%), le restanti allevano solo ovini o entrambe le specie animali.
Il tipo di allevamento più diffuso per le aziende bovine è quello da carne, secondo la tipologia della "linea vacca-vitello" (razze Chianina, Bruna e Pezzata Rossa le più rappresentate, con il 53% del totale; solo un'azienda alleva vacche Frisone per la produzione del latte); le aziende ovine si dedicano invece principalmente all'allevamento delle pecore da latte (il 58% alleva pecore di razza Sarda e Comisana), in alcuni casi anche alla trasformazione del latte in formaggio (tabelle 1.1, 1.2 e 1.3).
La scelta della razza e del tipo di allevamento, principalmente dedito alla produzione del latte nel caso degli ovini e della carne nel caso dei bovini, è evidentemente non casuale ma corrisponde a un'esigenza di ricerca della massima sostenibilità economica ed ambientale.
L'allevamento bovino da carne, e in particolare la linea vacca-vitello, consentono l'impiego di terreni marginali e di pascoli di qualità anche mediocre, difficilmente in grado di coprire i fabbisogni previsti per una vacca da latte.
Alle difficoltà tecniche dell'allevamento da latte si aggiungono anche le limitazioni alla vendita del prodotto in una filiera riconosciuta come biologica, in grado di assicurare prezzi di vendita adeguati che compensino sia i costi di conversione che i maggiori costi di produzione (Sehested e coll., 2003).
L'unica azienda da latte presente nel campione, infatti, riferiva al momento dell'indagine di essere ancora impegnata nella trattativa per il conferimento del prodotto ad un circuito certificato biologico.

Per quanto concerne l'allevamento ovino da latte, questo è caratterizzato in Italia da situazioni manageriali e strutturali che tradizionalmente si presentano già molto vicine, se non quasi sovrapponibili, a quelle richieste dal regolamento del biologico.
Tale osservazione è estendibile alla maggioranza degli allevamenti di piccoli ruminanti presenti nel bacino del Mediterraneo (Ronchi e Nardone, 2003).
La prospettiva dell'allevamento biologico viene considerata di particolare interesse per le aree più svantaggiate, dove contribuirebbe alla salvaguardia del paesaggio e della struttura sociale delle piccole comunità (Pacini e coll., 2003; Schiere e coll., 2002; Hermansen, 2003).
La zootecnia biologica prescrive infine che le razze debbano possibilmente essere autoctone e caratterizzate da una buona adattabilità alle condizioni dell'allevamento estensivo, nonché da vitalità e resistenza alle malattie.
Per quanto riguarda i bovini, le razze allevate nel campione di aziende esaminato rispondono a tali requisiti (Chianina, Pezzata Rossa); per ciò che concerne gli ovini, 2 aziende allevano razze locali (Appenninica e Sopravissana), mentre 3 allevano meticci e le rimanenti, come già ricordato, razze da latte (necessariamente non autoctone: Comisana e Sarda).

Con le limitazioni imposte dal regolamento (concernenti la costituzione del patrimonio, i casi di elevata mortalità, o quote annuali consentite in rapporto alla consistenza numerica degli animali e con deroghe ancora in vigore al momento dell'indagine), per la rimonta è consentito far ricorso anche a bestiame proveniente da aziende non convenzionali.
Tuttavia, nelle aziende comprese nell'indagine il ricorso alla rimonta esterna è apparso limitato, a motivo soprattutto dei costi.
Le aziende bovine che hanno acquistato all'esterno bestiame da rimonta (3) nella massima parte dei casi si sono indirizzate verso manze nullipare e normalmente i capi acquistati hanno rappresentato assai meno del prescritto limite del 10% del bestiame adulto presente in stalla.
Una sola azienda ovina ha dichiarato di aver acquistato anche bestiame dall'esterno.


foto Trabalza Marinucci 2003


I RICOVERI
Per ciò che concerne le caratteristiche dei ricoveri, questi si rivelano essere per lo più realizzati in epoca antecedente l'applicazione delle norme sul biologico in Italia (costruiti più di 10 anni fa nel 67% dei casi - tabella 1.5), in numero oscillante da 2 a 4 per azienda (73% dei casi - tabella 1.6) e in grado di ospitare mediamente 600 capi per quanto riguarda gli ovini e 70 capi nel caso dei bovini, con ampia variabilità in entrambe le tipologie di allevamento (663 ± 605 per gli ovini e 70 ± 56 per i bovini).
Nella tabella 7 le aziende sono raggruppate in classi di ampiezza senza distinzione tra specie allevata.
Gli spazi coperti si sono rivelati adeguati al numero dei capi ospitati in base al regolamento.
La situazione tende ad essere critica al momento delle nascite e soprattutto nel caso degli ovini (problematica verificata in due aziende di pecore da latte), a motivo della non completa prevedibilità del numero degli agnelli presenti contemporaneamente in azienda prima della vendita.
Tutte le aziende dispongono di fienili (il 71% ne possiede uno soltanto), la maggior parte sono dotate di abbeveratoi (87%) e circa la metà si avvalgono di impianti di mungitura (7 aziende su 15) (tabella 1.8).

Salvo deroghe previste per le piccole aziende, le modifiche strutturali da apportare ad un azienda per la sua conversione al biologico devono prendere in considerazione tre punti principali, quali la superficie a disposizione nella stalla, la libertà di movimento e il benessere animale (CRPA, 2001).
Il primo punto comporta il calcolo sia della superficie coperta che di quella scoperta, con esclusione delle aree destinate al pascolo; per ciò che concerne la libertà di movimento, tutti gli animali devono avere accesso a pascoli o paddock e la stabulazione libera è obbligatoria per le stalle di nuova realizzazione; le accortezze volte al benessere animale riguardano infine il rispetto di una serie di parametri concernenti la qualità dell'aria, l'isolamento termico, l'illuminazione naturale e le caratteristiche della pavimentazione della zona di stabulazione.
Per le aziende non di nuova costituzione, tali adeguamenti possono rappresentare un costo considerevole (CRPA, 2001).
Una piccola parte delle aziende bovine incluse nel campione hanno infatti evidenziato tale problema e presentato riserve sulla possibilità di continuare l'allevamento di tipo biologico, per lo meno una volta scadute le deroghe concernenti la stabulazione fissa e le caratteristiche strutturali.

IL PASCOLO
Tutte le aziende dispongono di pascoli, che si trovano in genere situati ad un'altitudine superiore ai 500 m s.l.m. (77% delle aziende - tabella 2.1).
L'estensione del pascolo (comprensivo anche dei territori boscati) oscilla dai 63 ai 3500 ha, ed in media rappresenta dal 50 a quasi il 100% della superficie aziendale totale (tabella 2.3).
Gli animali usufruiscono del pascolo per la maggior parte dei mesi dell'anno, ed in particolare 12 mesi all'anno nel 75% degli allevamenti ovini e 8-12 mesi all'anno nel 64% degli allevamenti bovini (tabelle 2.4 e 2.5).
La distribuzione dei pascoli nell'ambito del corpo aziendale (tabella 2.6) fa sì che essi siano raggiungibili dagli animali entro tempi ragionevolmente limitati (solo nel 25% dei casi essi impiegano dai 60 ai 180 min per raggiungerli - tabella 2.7).

Anche per quanto riguarda l'area destinata al pascolo la concentrazione di UBA per unità di superficie si rivela adeguata al limite imposto dal regolamento (max 2 UBA/ha); nel 73% dei casi tale densità si abbassa addirittura al di sotto di una UBA/ha (tabella 2.8).
Il pascolo è praticato secondo la tecnica della rotazione nel 67% delle aziende ed è dotato di abbeveratoi nel 57% dei casi (tabella 2.9).
Il pascolo, come stabilito dal regolamento, è fondamentale nell'allevamento biologico; è inoltre obbligatorio allevare gli animali all'ingrasso all'aperto per almeno i 4/5 della vita produttiva.
E' anche vero che lo stesso regolamento consente di derogare a quest'obbligo se vengono a mancare alcune condizioni (fisiologiche degli animali, climatiche, stato del terreno).
In pratica molte aziende non ricorrono al pascolo nei terreni frammentati e argillosi, sui quali la presenza degli animali causerebbe un eccessivo calpestio e danneggiamento del manto erboso, oppure qualora la composizione botanica e/o chimica dello stesso (es. eccesso di leguminose) può comportare problemi di natura patologica agli animali.
Per tali motivi i pascoli dovrebbero essere oggetto di cura particolare da parte dell'allevatore e gestiti perché possano essere produttivi, longevi e precoci.
I pascoli polifiti, che sono risultati la maggioranza di quelli campionati ed utilizzati dagli animali, consentono un più corretto bilanciamento dal punto di vista del rapporto energia/proteina ed inoltre, se contenenti specie a diversa precocità, permettono di instaurare le cosiddette "catene di foraggiamento" (indispensabili per assicurare presenza di foraggio verde in diversi periodi dell'anno).
Una gestione corretta delle superfici a pascolo permette anche che si stabilisca un equilibrio tra prelievo animale e sviluppo vegetativo.

Uno degli obiettivi dell'agricoltura biologica è infatti quello della sostenibilità ambientale dell'allevamento.
Nei casi esaminati dalla presente indagine l'impatto del pascolo sulle specie arboree è risultato pressoché inesistente, dal momento che la dieta degli ovini e dei bovini è preferenzialmente costituita da specie erbacee; solo occasionalmente, e in dipendenza anche dalla razza e dalle disponibilità alimentari, questi animali selezionano componenti vegetali arboreo-arbustive (Abbadessa e coll., 1999).
Per ciò che concerne le superfici destinate a prato-pascolo, l'indagine ha rivelato che in una molteplicità di occasioni queste sono apparse intensamente sfruttate (come testimoniato dall'altezza del cotico e dalla produzione di SS per unità di superficie - cfr. il capitolo "Gli alimenti").
E' da rimarcare tuttavia che nella quasi totalità dei casi si trattava di prati-pascoli artificiali o migliorati, la cui evoluzione fitosociologica ha pertanto un significato aleatorio.


foto Trabalza Marinucci 2003


LE AZIENDE OVINE: DATI STATISTICI E PRODUTTIVI
La consistenza media degli allevamenti ovini è stata pari a 340 capi (tabella 3.1), con un'ampia variabilità (da 90 a 700 capi); le pecore adulte costituiscono la categoria più rappresentata (il 37% delle aziende alleva dalla 200 alle 400 pecore - tabella 3.2).
Mediamente il rapporto pecore/arieti è al di sotto delle 40 unità (tabella 3.3) e gli accoppiamenti sono per lo più stagionali con concentrazione dei parti in funzione delle principali festività dell'anno (tabella 3.4); tuttavia il 37% delle aziende preferisce un'attività riproduttiva degli animali destagionalizzata, in funzione di una più omogenea distribuzione del prodotto nell'arco dell'anno e di una più semplice e naturale gestione del gregge.
L'età al primo parto è concentrata intorno ai 15 mesi (intervallo: 13-18 mesi) e la fertilità è mediamente elevata (tabella 3.6); gli agnelli presenti per azienda al momento dell'indagine oscillavano dalle 100 alle 500 unità nel 37% dei casi (tabelle 3.7, 3.8, 3.9 e 3.10).
Il numero di agnelli medio per pecora viene riferito essere pari a 1,55 (tabella 6.1).
L'età allo svezzamento viene generalmente riferita superiore ai 45 g come previsto dal regolamento; in un caso gli agnelli vengono lasciati con le madri e lo svezzamento avviene naturalmente (tabella 3.11).
Il peso vivo allo svezzamento è mediamente di 13,42 kg, dato che conferma le prestazioni di animali appartenenti a razze da latte; solo in due aziende che allevano razze da carne o meticci, gli agnelli vengono portati a pesi superiori (tabella 6.1).
La lattazione ha durata variabile (media: 214 gg), mentre le produzioni (standardizzate ai 210 gg) sono pari a 169 ± 77 L (tabella 6.1).
Il livello produttivo non appare dunque distante da quello considerato normale per allevamenti da latte convenzionali.
La quota di rimonta varia con l'azienda (17,7 ± 14,3 %) in funzione del piano di ampliamento numerico dell'allevamento stesso (tabella 3.12).

LE AZIENDE BOVINE: DATI STATISTICI E PRODUTTIVI
Gli allevamenti bovini considerati nell'indagine differiscono grandemente tra di loro per ciò che concerne la numerosità degli animali (da 4 a 60 animali adulti).
I casi contraddistinti da pochi capi sono per lo più quelli che si appoggiano principalmente all'allevamento ovino.
Come conseguenza del limitato numero di fattrici, ancora più esiguo è il numero dei tori (da 1 a 2 per azienda); nella maggior parte dei casi viene utilizzata le fecondazione naturale.
L'età al primo parto risulta variabile (20-36 mesi): gli accoppiamenti non sono sottoposti a stagionalizzazione (programmati solo nel 30% delle aziende).
In considerazione del fatto che la presenza del pascolo segue un andamento di tipo stagionale (massima produzione in primavera, arresto dello sviluppo in inverno ed estate), le nascite che si verificano in concomitanza dei periodi critici comportano un ulteriore aggravio nella gestione dell'alimentazione della fattrice e del vitello.
La presenza delle manze è limitata in media a 10 unità per azienda (la rimonta è per il 70% interna), mentre i vitelli oscillano dai 2 ai 20 capi (sia per quelli svezzati che per quelli ancora lattanti).
Il dato medio riferito al numero delle nascite per vacca è 0,9/anno (tabella 6.2) Molto scarsa è risultata la mortalità neonatale (un solo caso riportato per tutte le aziende esaminate).
Il peso vivo medio alla nascita è compatibile con la tipologia delle razze allevate (46 ± 9 kg nel caso dei maschi).
Solo 3 delle aziende prese in considerazione allevano i vitelloni fino al peso di macellazione (in tali aziende la consistenza numerica di questa categoria oscilla dai 5 ai 12 capi).
Nelle altre i vitelli vengono venduti mediamente intorno ai 300 gg, ad un peso vivo oscillante dai 250 ai 350 kg (tabella 6.2), sia per motivi di mercato che per problemi legati al raggiungimento di pesi maggiori nel rispetto dei vincoli imposti dal regolamento (cfr. capitolo "La dieta dei bovini").

I dati relativi alla struttura numerica delle aziende bovine sono riportati nelle tabelle 4.1 - 4.11.

GLI ALIMENTI
L'alimentazione sia degli ovini che dei bovini si basa sul pascolo.
Il sistema colturale aziendale risulta infatti molto influenzato dai vincoli normativi relativi all'autosufficienza.
Nella maggior parte dei casi si tratta di prati-pascoli che hanno subito nel corso degli anni un'attività di miglioramento piuttosto intensa ad opera dell'uomo.
Prevalgono i pascoli polifiti (62%) su quelli di leguminose e graminacee puri (tabella 5.1).
Le caratteristiche produttive ed il valore nutritivo di questo foraggio sono risultati estremamente variabili e legati all'andamento stagionale e alla composizione botanica (tabella 5.2); la produzione media per ha è stata di 946 ± 888 kg di sostanza secca (SS), la digeribilità della SO pari a 70,45 ± 6,29 %, il tenore in PG del 16,66 ± 4,61 % e quello in energia netta riconducibile a 79,66 ± 9,87 UFL/100 kg SS (UFC/100 kg SS: 70,91 ± 11,35).
I foraggi conservati sono pure impiegati in maniera cospicua dalla totalità delle aziende in esame (tabelle 5.1 e 5.3).
Anche in questo caso si tratta in prevalenza di fieni polifiti (PG: 9,98 ± 3,12; digeribilità SO; 52,67 ± 5,44 %; UFL/100 kg SS: 52,38 ± 9,62; UFC/100 kg SS: 41,97 ± 10,66).

L'impiego dell'insilato è invece molto limitato (3 casi in totale riguardanti insilato di mais pianta intera, sorgo pianta intera e fieno-silo di erba medica).
Il capitolo "alimentazione", assieme alla manodopera, è quella che maggiormente incide sul costo di produzione.
Considerati i vincoli posti dal regolamento, nell'azienda zootecnica biologica quello dell'alimentazione è un capitolo importante, sia in termini tecnici che economici, per il costo del mangime biologico; a ciò si aggiunge la limitata disponibilità di tali prodotti sul mercato.
Risulta infatti ancora modesta l'offerta di materie prime e additivi impiegabili in conformità al metodo di produzione biologico; ciò comporta l'innalzamento dei prezzi.
E' noto inoltre come il regolamento prescriva che almeno il 60% della SS della razione debba essere costituito da foraggi.

Per i motivi sopra citati, nelle aziende esaminate il concentrato è impiegato nei mesi in cui la disponibilità di pascolo è limitata e riservato principalmente alle categorie dei vitelli e vitelloni; in misura leggermente inferiore viene somministrato anche alle vacche in fine gravidanza e lattazione.
Salvo pochi casi in cui il mangime viene acquistato dal commercio, si tratta di cereali di origine aziendale (mais, avena, farro, frumento) che possono essere miscelati a favino per ottenere un concentrato a maggiore contenuto in proteina (tabella 5.4).
Anche quando il mangime viene acquistato dall'esterno si tratta per lo più di mangime biologico, per quanto la deroga al regolamento consenta l'impiego annuo massimo del 10% di alimenti convenzionali in rapporto alla SS somministrata (così come è ammessa l'alimentazione con alimenti in fase di conversione).
Questo risulta comprensibile anche in funzione della tipologia dominante degli allevamenti inclusi nell'indagine (bovino da carne, ovino da latte o da carne); la realtà delle aziende biologiche zootecniche di altre regioni, dove gli allevamenti bovini da latte sono invece presenti in numero considerevole, può invece spingere gli allevatori a far ricorso a nuclei proteici (soia in particolare) convenzionali.
Questo sia a motivo del fatto che i fabbisogni proteici della vacca da latte sono più elevati di quelli delle razze da carne, sia a causa della difficoltà di reperire farine proteiche certificate biologiche (Khalili e coll., 2002).

La forma di somministrazione degli alimenti concentrati prevalente è generalmente quella dello sfarinato, anche se si utilizzano con una certa frequenza schiacciati e fioccati (questi ultimi di provenienza extra-aziendale).
Per quanto concerne gli aspetti legati al valore nutrizionale, il contenuto medio di PG è stato pari al 14,5% sulla SS, la stima della digeribilità della SO pari all'83% ed il tenore stimato in energia netta equivalente a 111 UFL e 109 UFC per 100 kg SS (tabelle 5.3 e 5.4).

LA DIETA DEGLI OVINI
La dieta delle pecore a fine gravidanza è risultata caratterizzata dalla presenza del pascolo nella totalità delle aziende esaminate, eccezion fatta per un 25% delle stesse durante i mesi invernali (tabella 5.5).
Nella generalità dei casi esaminati i fabbisogni energetici degli animali sono risultati pienamente soddisfatti anche in considerazione dell'impiego di fieno (dal 25% delle aziende in primavera al 100% in inverno) e di concentrato (100% delle aziende in inverno), in grado di compensare eventuali deficit alimentari legati alle carenze stagionali di pascolo.
Per ciò che concerne l'apporto di proteina, questo è apparso in eccesso (tabella 5.13).
E' opportuno sottolineare che i fabbisogni teorici di fine gravidanza (Jarrige, 1988), che vengono aggiunti a quelli di mantenimento solo dalle 6 settimane ad 1 settimana prima del parto, sono stati in questo caso mediati: l'eccesso di proteina è dunque maggiore allontanandosi dal parto e minore in prossimità dello stesso.
A questo riguardo va evidenziata la presenza rilevante di foraggi di leguminose (tabelle 5.5, 5.6 e 5.7), che normalmente ben si adattano ad essere associati a cereali (la forma di concentrato principale riscontrata nel campione di aziende).

Un eccesso di leguminose, negli stadi fisiologici non contrassegnati da elevati fabbisogni proteici, può invece comportare fenomeni acuti o sub-acuti di alcalosi, con eventuali ripercussioni di tipo patologico (sfera riproduttiva, mammella, metabolismo del calcio, apparato podale) o relative alla qualità del latte (contenuto in azoto non proteico).
Questi errori nella scelta degli alimenti sono frequenti anche nelle aziende convenzionali: la maggior parte degli allevatori ignora che il fieno di erba medica, essendo tradizionalmente considerato tra i migliori, possa se male impiegato costituire un rischio per la salute degli animali.
La dieta delle pecore durante la lattazione ricalca molto da vicino il modello adottato durante la gravidanza, ma con quantità superiori di concentrato e con l'impiego preferenziale di pascoli di leguminose in alternativa a quelli polifiti (tabelle 5.6 e 5.13).
Anche in questa circostanza il pascolo, comunque integrato con foraggi conservati e mangime, costituisce la base della razione.
All'inizio della lattazione viene evidenziato un deficit energetico, che può essere considerato normale per degli animali da latte in questo momento fisiologico.
Al termine della lattazione l'apporto energetico supera mediamente quello indicato dai fabbisogni: anche in questo caso si tratta di un fenomeno normale, che consente agli animali di recuperare le riserve adipose perse nella prima fase della lattazione e di prepararsi di nuovo al parto.
Per l'apporto di proteina (da +167 a +208%) valgono le considerazioni già espresse per la gravidanza.

Le produzioni di latte degli animali riflettono in maniera decisa le variazioni del bilancio energetico e proteico: le aziende caratterizzate dalla dieta più carente (ca. 70% dei fabbisogni coperti) sono anche quelle penalizzate più fortemente sul fronte delle produzioni (90 L di latte per lattazione contro i 171 della media generale) (tabella 6.1).
La dieta degli agnelli dopo lo svezzamento è fondata ancora sul pascolo e sull'impiego di fieno e concentrati, questi ultimi soprattutto durante l'inverno (62% delle aziende per il fieno e 75% per il concentrato).
Per quanto riguarda il bilancio energetico, le razioni esaminate sarebbero a mala pena in grado di sostenere un accrescimento di 150 g/die per un agnello del PV di 25 kg, fatta salva la disponibilità di pascolo (tabelle 5.7 e 5.13).
E' comunque da rimarcare che la vendita dell'agnello avviene quasi subito o poco dopo lo svezzamento, a pesi quindi inferiori a quelli considerati nell'esempio.
Il calcolo può invece essere riferito agli agnelli e alle agnelle da rimonta, per i quali sono consigliati ritmi di accrescimento più contenuti degli animali destinati al macello (Jarrige, 1988).

Anche per gli agnelli l'apporto proteico risulta essere eccedentario (tabella 5.13).
Lo squilibrio proteico appare meno grave qualora vengano presi in considerazione i fabbisogni suggeriti da NRC (1988), sia per gli animali in accrescimento che per quelli adulti (dal 33 al 50% maggiori, rispettivamente per le pecore in gravidanza e per gli agnelli, se confrontati con quelli francesi).
L'analisi effettuata dimostra come il sistema di razionamento adottato nel campione di aziende biologiche esaminate non differisca sostanzialmente da quello già in atto nella maggior parte delle aziende ovine convenzionali presenti nel territorio.
L'allevamento ovino tradizionale, in Italia come in molti Paesi del bacino del Mediterraneo, è di tipo semi-estensivo e fondato sul pascolo, con scarse integrazioni di alimenti concentrati (Ronchi e Nardone, 2003).

Questo fa sì che nella maggior parte dei casi la conversione al sistema biologico non rappresenti un problema, come dimostra il numero delle aziende ovine in relazione al patrimonio zootecnico biologico nazionale (Benoit e Veysset, 2003).
Come dunque ricordato, il pascolo si è rivelato essere alla base della dieta di tutte le categorie di animali; quello turnato o razionato, che consente un uso più razionale e rinnovabile delle risorse foraggiere, è impiegato in maniera più diffusa (Kuusela e Khalili, 2002).
Anche a motivo del clima particolarmente sfavorevole registrato nel 2003, l'altezza del cotico erboso misurata in numerose occasioni è stata tuttavia inferiore a quella di norma consigliata per i prati polifiti (da 10 a 20 cm - Keane e O'Riordan, 1998).
Le quantità di concentrato somministrate sono risultate generalmente appropriate (mediamente 150 g/capo/die in fine gravidanza e 400 g/capo/die in lattazione), con l'eccezione di un caso in cui l'eccesso è risultato evidente (800-900 g/capo/die in fine gravidanza e 1100 g/capo/die in lattazione) (tabelle 5.5 e 5.6).

LA DIETA DEI BOVINI
Per quanto concerne l'alimentazione dei bovini, durante la fase finale della gravidanza non tutte le aziende impiegano integrazioni di fieno e/o concentrato (tabella 5.8); questo potrebbe porre dei problemi per la copertura dei fabbisogni nutritivi (tabella 5.14), ma solo nelle stagioni contrassegnate da scarsa disponibilità di pascolo e da diminuzione della sua densità energetica (durante l'estate solo il 50% delle aziende utilizza fieno e solo il 10% concentrato).
Un discorso analogo potrebbe essere impostato per il settore delle vacche in lattazione; i fabbisogni sono infatti solo di poco superiori a quelli della tarda gravidanza, in considerazione del fatto che (con l'eccezione di 1 azienda) si tratta di animali da carne con produzioni di latte limitate.
La capacità di ingestione maggiore consente d'altra parte una più agevole copertura delle esigenze nutritive.
Restano tuttavia poche (dal 20% in estate al 50% in inverno) le aziende che utilizzano integrazioni con mangime e questo potrebbe creare qualche difficoltà nei casi di carenze di pascolo associate a presenza di fieno in cattivo stato di conservazione (tabella 5.9).
E' noto che una corretta alimentazione in questa fase è alla base della ripresa del ciclo riproduttivo ed influisce quindi indirettamente sulla durata dell'intervallo parto-concepimento, oltre che sulla quantità di latte prodotto.

Nella situazione delle aziende esaminate, anche sulla base della composizione dei foraggi impiegati (tabelle 5.2 e 5.3), appare più probabile l'evenienza di un deficit energetico che non di un deficit proteico (tabella 5.14).
E' comunque da sottolineare il fatto che, qualora si disponga di ottimi pascoli e si abbia una buona gestione della fase terminale della gravidanza, l'apporto di concentrati in lattazione può essere nullo o molto limitato (1-1,5 kg/capo/die).
La definizione precisa del quantitativo da somministrare è inoltre legata alla body condition dell'animale, che in prossimità del parto non dovrebbe scendere al disotto di 2,5-3 (INRA, 1988).
Il razionamento dei vitelli, soprattutto nelle ultime fasi dell'ingrasso, è quello che pone i problemi più seri per l'azienda biologica in quanto c'è l'esigenza di conciliare gli elevati fabbisogni (soprattutto in energia) con le regole del disciplinare che impongono limiti all'uso di concentrati e alla durata della stabulazione stallina.
Il pascolo è impiegato dal 56% delle aziende in inverno e da circa il 90% nei mesi primaverili-estivi (tabella 5.10).
Risultano molto praticate le integrazioni con foraggi conservati e con concentrati (dal 57% in estate-autunno al 100% delle aziende in inverno-primavera).

Nel caso dei vitelli al di sotto dell'anno di vita, con quote non elevate di mangime, il razionamento appare meno difficile e in grado di compensare i fabbisogni dell'animale (tabella 5.15), ma solo per ritmi di accrescimento contenuti (1000 g/die).

Quanto emerge dall'analisi della razione è confermato anche dai risultati produttivi degli animali (tabella 6.2).
Naturalmente devono essere considerati gli eventuali fattori limitanti, già richiamati per gli animali adulti, rappresentati dalla qualità e dalla quantità di pascolo e fieno disponibili.
Solo tre delle aziende considerate praticano l'allevamento del vitellone, che per le razze da carne tradizionali significa il raggiungimento di pesi alla macellazione elevati (600-700 kg) (tabella 6.2).
Gli accrescimenti ponderali consentiti dalla dieta, infatti, in considerazione dei vincoli imposti dal regolamento (apporto massimo di concentrato pari al 40% della SS giornaliera) e dei limiti temporali di allevamento in stalla (non più di 3 mesi), sono inferiori a quelli massimi potenzialmente raggiungibili dalla categoria (tabelle 5.15 e 6.2).
E' noto che il finissaggio prevede l'incremento del tessuto adiposo con indice di conversione più ridotto rispetto alla fase precedente (Jarrige, 1988; NRC, 1985).
Appare a questo punto evidente l'importanza delle fasi di sviluppo antecedenti il finissaggio, quali il periodo di assunzione del latte materno prima dello svezzamento ed il primo periodo dell'accrescimento, entrambi caratterizzati da un più favorevole indice di conversione; un razionamento sbagliato in questa prima fase risulta difficilmente recuperabile nel periodo finale dello sviluppo.
Questo condiziona ancora più gravemente la possibilità di raggiungere i pesi tipici di macellazione, soprattutto per le razze di grande taglia come la Chianina e nelle condizioni della zootecnia biologica.

AZIENDA


Tabella 1.1: Distribuzione delle specie allevate nelle aziende
SPECIE AZIENDE %
Bovina 4 46,66
Ovina 7 26,67
Bovina+Ovina 4 26,67


Tabella 1.2: Distribuzione delle razze bovine allevate nelle aziende
RAZZA AZIENDE %
Chianina 4 26,66
Bruna Italiana 2 13,33
Pezzata Rossa 2 13,33
Marchigiana 1 6,67
Limousine 1 6,67
Charolaise 1 6,67
Frisona 1 6,67
Meticci 3 20,00


Tabella 1.3: Distribuzione delle razze ovine allevate nelle aziende
RAZZA AZIENDE %
Comisana 5 45,45
Sarda 3 27,27
Appenninica 1 9,10
Sopravissana 2 18,18
Frisona 1 9,10
Meticci 3 27,27


Tabella 1.4: Distribuzione dei sistemi di conduzione delle aziende
CONDUZIONE AZIENDE %
Coltivatore Diretto 11 78,57
Salariati 1 7,14
Altro 2 14,29


Tabella 1.5: Distribuzione del numero dei ricoveri per gli animali nelle aziende
RICOVERI AZIENDE %
1 4 26,67
2-3 8 53,33
=4 3 20,00


Tabella 1.6: Capienza dei ricoveri per animali
N. CAPI AZIENDE %
<100 6 42,86
100-200 8 35,71
>200 3 21,43


Tabella 1.7: Anno di costruzione dei ricoveri
PERIODO AZIENDE %
Ultimi 10 Anni 7 33,33
>10 Anni 14 66,67


Tabella 1.8: Numero di fienili aziendali
FIENILI AZIENDE %
1 10 71,43
2 3 21,43
3 - -
4 1 7,14


Tabella 1.9: Attrezzature aziendali
MUNGITURA ABBEVERATOI%
SI 7 13
NO 8 2



ORGANIZZAZIONE DEL PASCOLO


Tabella 2.1: Pascolo, Distribuzione altimetrica
ALTITUDINE (m) AZIENDE (N.) AZIENDE (%)
< 500 3 23,075
500 - 1000 7 53,85
> 1000 3 23,075


Tabella 2.2: La superficie aziendale
SUPERFICIE TOTALE AZIENDALE AZIENDE (N) AZIENDE (%)
<100 ha 3 30
100<ha>200 6 60
>200 ha 1 10


Tabella 2.3: La superficie di pascolo
SUPERFICIE DI PASCOLO* AZIENDE (N.) AZIENDE (%)
<50% 1 10
50%-70% 3 30
100% 6 60
*in rapporto alla superficie totale aziendale


Tabella 2. 4. Utilizzo del pascolo da parte degli ovini
MESI/ANNO AZIENDE (N.) AZIENDE (%)
12 6 75
8 2 25


Tabella 2.5: Utilizzo del pascolo da parte dei bovini
MESI/ANNO AZIENDE (N.) AZIENDE (%)
12 4 36,36
11 1 9,09
8 2 18,18
7 3 27,27
6 1 9,09


Tabella 2.6. Distanza dal corpo aziendale principale
KM AZIENDE (N.) AZIENDE (%)
0 5 55,56
1 3 33,33
5 1 11,11


Tabella 2.7. Tempo necessario per il trasferimento degli animali al pascolo
TEMPO (MIN) AZIENDE (N.) AZIENDE (%)
0 3 37.5
15 2 25
30 1 12.5
60 1 12.5
180 1 12.5


Tabella 2.8. Densità degli animali sulla superficie pascolativa
UBA/HA AZIENDE (N.) AZIENDE (%)
<1 9 75
1<UBA>2 3 25
Tori, vacche > 2 anni 1 UBA
Bovini tra 6 mesi e 2 anni 0,6 UBA
Ovini 0,15 UBA


Tabella 2.9: Uso del pascolo
PASCOLO TURNATO % ABBEVERATOI SUL PASCOLO %
10 66,67 8 57,14
5 33,33 6 42,86



LA STRUTTURA DELL'ALLEVAMENTO: GLI OVINI

Tabella 3.1: consistenza media del gregge per periodo
PERIODO media DS min max
1° (Aprile-Maggio) 343,4 208,8 90 700
2° (Giugno-Luglio) 338,1 207,5 90 700
3° (Agosto-Ottobre) 341,5 204,2 116 700


Tabella 3.2: numero di pecore per azienda
PECORE AZIENDE %
<100 1 12,50
100-200 2 25,00
201-400 3 37,50
>400 2 25,00


Tabella 3.3: numero di arieti per azienda
ARIETI AZIENDE %
0-5 3 37,50
6-20 4 50,00
>20 1 12,50


Tabella 3.4: rapporto pecore/arieti
AZIENDE %
<40 5 62,50
>40 3 37,50


Tabella 3.5: periodicità degli accoppiamenti
ACCOPPIAMENTI AZIENDE %
Stagionali 5 62,50
Continui 3 37,50


Tabella 3.6: età al 1° parto
ETÀ (mesi) AZIENDE %
13 1 12,50
14 1 12,50
15 3 37,50
16 1 12,50
17 - -
18 2 25,00


Tabella 3.7: agnelli nati (in % sulle pecore presenti) nel periodo Aprile-Ottobre
% AZIENDE %
<25 2 25,00
26-50 2 25,00
>50 4 50,00


Tabella 3.8: consistenza media aziendale degli agnelli divisa per periodo
PERIODO media DS min max
1° (Aprile-Maggio) 156,9 307,1 0 900
2° (Giugno-Luglio) 38,1 43,9 1 134
3° (Agosto-Ottobre) 118,1 153,3 0 470


Tabella 3.9: numero di agnelli presenti per azienda
AGNELLI AZIENDE %
<100 4 50,00
101-500 3 37,50
>500 1 12,50


Tabella 3.10: rapporto agnelli/pecoreper periodo
PERIODO
1° (Aprile-Maggio) 0,46
2° (Giugno-Luglio) 0,11
3° (Agosto-Ottobre) 0,35


Tabella 3.11: età degli agnelli allo svezzamento
ETÀ (giorni) AZIENDE %
<45 2 25,00
>45 5 62,50
Svezzamento Naturale 1 12,50


Tabella 3.12: quota percentuale di rimonta (n=4)
MEDIA DS Min max
17,72 14,29 2,86 37,19


LA STRUTTURA DELL'ALLEVAMENTO: I BOVINI

Tabella 4.1: VACCHE ADULTE
Periodo Consistenza media aziendale DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 29,3 16,6 4 60
Giugno-Luglio 26,9 16,6 4 60
Agosto-Ottobre 27,7 15,6 4 60


Tabella 4.2: TORI
Periodo Consistenza media aziendale DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 1,2 0,4 1 2
Giugno-Luglio 1,2 0,4 1 2
Agosto-Ottobre 1,2 0,4 1 2


Tabella 4.3: MANZE
Periodo Consistenza media aziendale DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 9,4 6,4 5 20
Giugno-Luglio 9,9 5,3 3 20
Agosto-Ottobre 11,4 5,4 6 20


Tabella 4.4: VITELLI non svezzati
Periodo Consistenza media aziendale DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 9,4 6,2 3 20
Giugno-Luglio 9,2 6,2 2 20
Agosto-Ottobre 8,8 5,5 3,5 20


Tabella 4.5: VITELLI svezzati (età < 12 mesi)
Periodo Consistenza media aziendale DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 10,3 9,2 1 24
Giugno-Luglio 5,7 4,6 2 14
Agosto-Ottobre 7,7 4,2 2 14


Tabella 4.6: VITELLONI (età > 12 mesi)
Periodo Consistenza media aziendale DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 7,3 4,0 5 12
Giugno-Luglio 5,0 0 5 5
Agosto-Ottobre 0- - -


Tabella 4.7: VITELLI nati
Periodo Consistenza media aziendale DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 11 9,9 4 18
Giugno-Luglio 0-- -
Agosto-Ottobre 0---


Tabella 4.8: VITELLI morti
Periodo Media DS Valore minimo Valore massimo
Aprile-Maggio 1 - - -
Giugno-Luglio 0 - - -
Agosto-Ottobre 0 - - -


Tabella 4.9: PESO MEDIO alla nascita
Animali Media DS Valore minimo Valore massimo
Maschi 45,62 9,04 30 60
Femmine 36,79 8,98 20 50
Gemelli 27,5 - - -


Tabella 4.10: TIPO DI RIMONTA
Tipo di rimonta Aziende %
Interna 7 70
Mista 3 30


Tabella 4.11: PERIODICITA' degli accoppiamenti
Accoppiamenti Aziende %
Stagionali 3 30
Continui 7 70


ALIMENTAZIONE

Tabella 5.1: Tipologia di alimenti impiegati nell'ambito delle categorie


Tabella 5.2: Produttività e valore nutritivo del pascolo (tutte le tipologie) in dipendenza dalle condizioni climatiche


Tabella 5.3: Composizione chimico-centesimale media delle categorie di alimenti utilizzati nelle aziende


Tabella 5.4: (parte 1) Tabella 5.4: Provenienza (P) e composizione chimico-centesimale degli alimenti utilizzati nelle aziende


Tabella 5.4: (parte 2) Provenienza (P) e composizione chimico-centesimale (% SS) degli alimenti utilizzati nelle aziende


Tabella 5.4: (parte 3) Provenienza (P) e composizione chimico-centesimale (% SS) degli alimenti utilizzati nelle aziende


Tabella 5.4: (parte 4) Provenienza (P) e composizione chimico-centesimale (% SS) degli alimenti utilizzati nelle aziende


Tabella 5.5: Composizione della dieta nel corso delle stagioni - PECORE A FINE GRAVIDANZA


Tabella 5.6: Composizione della dieta nel corso delle stagioni - PECORE IN LATTAZIONE


Tabella 5.7: Composizione della dieta nel corso delle stagioni - AGNELLI


Tabella 5.8: Composizione della dieta nel corso delle stagioni - VACCHE A FINE GRAVIDANZA


Tabella 5.9: Composizione della dieta nel corso delle stagioni - VACCHE IN LATTAZIONE


Tabella 5.10: Composizione della dieta nel corso delle stagioni - VITELLI


PRODUZIONI

Tabella 6.1: GLI OVINI


Tabella 6.2: I BOVINI


BIBLIOGRAFIA

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