Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche
Webzine Sanità Pubblica Veterinaria: Numero 66, Giugno 2011 [http://www.spvet.it/] ISSN 1592-1581
Documento reperibile all'indirizzo: http://spvet.it/indice-spv.html#524

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EDITORIALE


Scienza e nepotismo

di Raoul Ciappelloni


Download articolo, file pdf [Editoriale su nepotismo nel lavoro di Stefano Allesina 48 KB]



In questo editoriale avremmo dovuto parlare, come anticipato nell'ultimo numero di SPVet.it, delle sovrapposizioni fra matematica e letteratura nell'ambito della comunicazione scientifica, con una breve recensione del libro di Gabriele Lolli "Discorso sulla matematica, Una rilettura delle Lezioni Americane di Italo Calvino" (Boringhieri, 2011). Invece l'argomento, pure interessante, verrà affrontato nel prossimo numero (67/2011). In questo parleremo di nepotismo nei concorsi pubblici degli Enti di ricerca italiani, un tema tanto dibattuto in privato, quanto scarsamente affrontato da giornali e televisione.
Il motivo di questo repentino cambiamento è la recente pubblicazione di un lavoro di Stefano Allesina (http://allesinalab.uchicago.edu/people/stefano-allesina.html; Professore al Department of Ecology & Evolution, Computation Institute, Università di Chicago, USA), su Plos One - http://www.plosone.org/ (3 Agosto, 2011) con il titolo:
"Measuring Nepotism Through Shared Last Names: the Case of Italian Academia - Misulazione del nepotismo attraverso i cognomi in comune: il caso dell'Università italiana" (http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0021160). L'idea di Allesina è semplice. Viene valutata con metodi statistici, la ricorrenza dei cognomi negli elenchi del personale universitario, per capire se la frequenza di quelli uguali sia compatibile con il principio di casualità, o piuttosto l'indicazione di un vizio di fondo del campione. Cioè che i cognomi uguali siano troppo frequenti per credere che la situazione si sia determinata per puro effetto del caso, configurando una possibile causa (nepotismo), che l'ha determinata.
Lo studio è interessante in quanto ci consente di parlare di questa problematica al di fuori dell'aneddotica, o, peggio, del gossip, modi sin qui utilizzati per sollevare la questione pubblicamente. L'articolo ci conduce dritto al centro di una annosa questione di politica della scienza, cioè:

se i decisori distorcono i risultati delle selezioni di merito, favorendo i meno preparati e creativi, che ne sarà del sistema che produce conoscenza e servizi avanzati nel nostro Paese? Inoltre. Visto che genialità, dedizione allo studio, originalità e indipendenza di giudizio, sono tutte caratteristiche che i "raccomandati" presumibilmente non hanno o hanno in scarsa misura, questa specie di "selezione alla rovescia" come influirà sulla ricerca in generale e sull'economia in particolare?
I quesiti citati, sia chiaro, sottintendono un certo degrado delle istituzioni, degrado che comunque non può essere attribuito unicamente al complesso sistema universitario, ma che tocca anche agli altri Enti pubblici del Paese. Viene da chiedersi se sia davvero così.

Per dirimere la questione Allesina si serve di un approccio statistico di base (metodo Monte Carlo, un test statistico non parametrico, quindi molto "robusto", adatto all'analisi di grandi campioni), per valutare un set di 61340 cognomi di docenti universitari italiani in pianta stabile (dato: Ottobre 2010). Il data set analizzato intende così misurare la "casualità" dell'assortimento dei nomi in funzione della numero delle ricorrenze.
In 9 aree disciplinari (su 28) il test indica (significatività 5%), che vi è una elevata probabilità di nepotismo.
Quindi, in relazione al metodo impiegato ed ai dati analizzati, vi è la possibilità di asserire l'esistenza di un assetto "alterato".

Consigliamo di recuperare attraverso Google Scholar la bibliografia riportata nel lavoro di Allesina, che rappresenta una parte della vasta letteratura sul nepotismo tout court e su quello del Bel Paese in particolare, alimentata da molti professori universitari che operano in Italia e soprattutto all'estero. I link di seguito predisposti consentono di accedere al materiale informativo, riguardante un vivace dibattito sull'Università italiana che ha avuto una discreta eco in Rete. È a vostra disposizione: un libro scritto da Roberto Perotti (http://faculty.unibocconi.it/robertoperotti/), Ordinario di Economia alla Bocconi, dal titolo: "L'università truccata", Editore Einaudi, Milano (2008), del quale è possibile leggere alcune pagine, riguardanti un caso di studio (http://www.grusol.it/informazioni/11-10-08.PDF), messe a disposizione dal sito del Gruppo Solidarietà, Grusol.it. Una interessante discussione sul libro di Perotti è contenuta nell'allegato multimediale del video.corriere.it (http://video.corriere.it/), dal titolo: Videochat di Beppe Severgnini con Roberto Perotti (http://video.corriere.it/?vxSiteId=404a0ad6-6216-4e10-abfe-f4f6959487fd&vxChannel=tuttiivideo&vxClipId=2524_c66120a6-b595-11dd-87ce-00144f02aabc&vxBitrate=300 *si avverte* che il video può essere preceduto da un breve trailer pubblicitario).
Segnaliamo anche un "commento alla Videochat" (http://www.buconero.eu/2008/11/videochat-di-beppe-severgnini-con-roberto-perotti/), con alcune critiche alle tesi di Perotti.

Andando oltre
Gli effetti di questa scarsa trasparenza e meritocrazia, sono molteplici. Coinvolgono pesantemente le scelte degli individui ed indirettamente producono effetti piuttosto negativi sul livello dei servizi avanzati di cui può godere la società civile. Tutti fatti che meritano di essere brevemente considerati un po' più da vicino.

La difficoltà di inserimento di elementi validi nel sistema ricerca, produce anomalie riconosciute nella documentazione del Ministero dell´Istruzione, dell'Università e della Ricerca - MIUR. Ad esempio nel documento: "Ulteriori interventi per la razionalizzazione e qualificazione dell'offerta formativa nella prospettiva dell'accreditamento dei corsi di studio (http://www.miur.it/UserFiles/3143.pdf)" (MIUR, 4 Settembre 2009), viene citato come necessario "...il miglioramento dell'efficienza ed efficacia del sistema della formazione universitaria, caratterizzato da uno strutturale, elevato, numero di fuori corso e di abbandoni e da una elevata sotto-occupazione dei laureati".
Queste occorrenze negative ci sembrano strettamente collegate con la situazione delineata da Allesina. Se l'accesso ai lavori della didattica e della ricerca in Italia sono gestiti in modo clientelare, molti di coloro che sono privi di appoggi, alla fine saranno inevitabilmente spinti nelle seguenti categorie: Cervelli in fuga. Ricercatori molto giovani, che non hanno altra strada per continuare a praticare la propria disciplina, se non quella di emigrare cercando accoglienza in sistemi universitari di altri Stati; Cervelli che si spengono. Rinunciatari, spesso con laurea e specializzazione, che finiscono per fare lavori di ripiego o, nella peggiore delle ipotesi, nessun lavoro.

Siamo di fronte a due aspetti concomitanti, le due facce del gettare la spugna, che con il tempo sono anche diventati argomenti ricorrenti nel parlare comune. È subentrata una specie di fatalistica accettazione della situazione esistente che viene dai più percepita come inemendabile, senza possibilità di miglioramento.

Fuga e morte dei cervelli
Per questo motivo, dopo un po' di volontariato e qualche concorso infruttuoso, molti se ne vanno, sperando di trovare asilo presso università e centri di ricerca di altri Paesi, dove c'è una maggior possibilità di inserimento.
L'esodo degli intellettuali italiani mostrerebbe però delle caratteristiche peculiari. Secondo un articolo pubblicato nella versione online del The Economist (http://www.economist.com/node/17862256; 6 Gennaio 2011, senza indicazione di autore), sull'emigrazione intellettuale italiana, questa non sarebbe assimilabile agli altri Paesi europei, mostrando una dinamica più affine a quella di un Paese in via di sviluppo. Non è una questione di numeri perchè, sempre secondo l'Economist, nell'anno 2005 sarebbero partiti molti più laureati da Inghilterra, Francia o Germania, che dall'Italia.
Il nostro Paese sarebbe afflitto da una specie di "emorragia" riguardante il partimonio di laureati a favore di altre nazioni. Nei Paesi avanzati si assisterebbe invece, ad uno "scambio" di cervelli (nell'articolo: "... as British computer scientists disappear to Silicon Valley, Spanish medical researchers find work in Britain - come gli scienziati informatici britannici se ne vanno nella Silicon Valley, altri ricercatori medici spagnoli trovano lavoro in Gran Bretagna").

Per sapere come viene vista tutta questa situazione all'estero, vi consigliamo (caldamente) di collegarvi alla pagina Web con i commenti sull'articolo: "No Italian jobs" (http://www.economist.com/node/17862256/comments#comments). Le opinioni espresse sono tante e davvero tutte da leggere; si parla di noi senza peli sulla lingua, in un modo cui forse non siamo abituati.
I post dei giovani italiani sono molti ed esprimono considerazioni impietose che sembrano quelle di reduci di qualche battaglia mal condotta ed alla fine persa. Io ce l'ho fatta a salvare la pelle, sembrano dire tutti. Nessuno dei messaggi scritti da connazionali che abbiamo letto (in tutto sono 61 interventi), manifesta la minima intenzione di tornare indietro.
In un prossimo numero di SPVet potremmo proporvi la traduzione del materiale completo, che contiene osservazioni davvero interessanti.

La fuga dei cervelli ha anche aspetti positivi, non per il Paese, quanto per le persone che vi si trovano coinvolte. E' un po' come l'emigrazione degli italiani (poveri e dequalificati) avvenuta nella prima metà del secolo scorso verso il nord Europa e gli Stati Uniti d'America. Ricordiamo il vecchio detto abruzzese: "o transumante o brigante o emigrante". Questi spostamenti di massa, hanno poi generato una ventata di civiltà e benessere nei luoghi di origine, quando il flusso si è invertito.
Gli emigranti di oggi, quelli che se ne vanno con la loro laurea e magari un'esperienza professionale da spendere, sono gli individui più intelligenti e motivati che abbiamo.
Intelligenti perché hanno aggirato le difficoltà e trovato una soluzione per accedere al lavoro cui ambiscono; motivati perché per raggiungere lo scopo sono disposti a pagare un alto prezzo: vivere lontano dal proprio Paese, lasciare i parenti, cambiare amici e abitudini.

Dovrebbero essere loro la classe dirigente, altro che emigrare. E forse, quando il macello italiano della cultura sarà terminato, questo auspicio diverrà realtà. Per ora il nostro Stato non sa che farsene.

Non tutti però arriveranno ad essere cervelli migranti, molti si perderanno per strada, alcuni precocemente.
I dati del MIUR (purtroppo si fermano al 2007), indicano un forte abbandono scolastico e la presenza di moltissimi fuori corso (http://nuclei.cnvsu.it/main.html), altri, al termine di lunghi tentativi infruttuosi, non trovando alcuna collocazione nell'Università o in altri Enti di ricerca saranno costretti a desistere. Così dopo aver affrontato un lungo iter di studio, aver sostenuto costi non indifferenti, queste persone rimarranno in mezzo al guado. Alla fine dovranno accontentarsi di una soluzione di ripiego.
Abbiamo così, molte partite IVA, estetiste laureate in filosofia e camerieri specializzati in biologia. Ma non c'è nulla di nuovo sotto il sole.

Antonello Venditti lo aveva già scritto in una sua canzone del 1978: "Sotto il segno dei Pesci (http://www.italianissima.net/testi/sottoils.htm)", dove c'è un pezzo che dice così:

"... E Giovanni e' un ingegnere
che lavora in una radio
ha bruciato la sua laurea
vive solo di parole..."

E così è stato per molti. Solo che "una volta" questa situazione andava di moda e sembrava qualcosa di cui andare fieri. Oggi forse un po' meno.

"Molti cercheranno di entrare ma non potranno" [Luca 13:24]
Un giovane laureato che si trova dentro al piccolo grande dramma, della meritocrazia negata, dovrebbe comprendere che ciò non rappresenta il peggio che può capitargli, se è capace di riconoscere in tempo la situazione, "sganciarsi" e cercare strade alternative.
Se invece insisterà pervicacemente nel cercare una collocazione nell'Istituzione che lo respinge, o in altre consimili, moltiplicando sforzi e tentativi infruttuosi, si passerà in breve dal dramma alla catarsi. Chi si comporta in questo modo rischierà fortemente di finire vittima dalla sua stessa tenacia, in uno scomodo parcheggio fatto di borse di studio, contratti atipici, consulenze, probabilmente senza concludere niente di buono.
Agghindato di numerosi titoli di merito (e magari più lauree), il nostro precario supererà senza accorgersene la quarantina sperando sempre che l'anno prossimo, o magari quello dopo, il proprio merito emerga, sia riconosciuto, senza riuscire a capire di essere come un uccellino in trappola, messo da una parte e dimenticato.
Questo si, è davvero un "fato" fra i più dolorosi. Altro che fuga di cervelli.

Conclusioni Ogni intellettuale altamente formato che emigra per l'impossibilità di lavorare nel Paese, rappresenta una perdita secca per il nostro sistema economico a tutto vantaggio delle nazioni concorrenti.
Altrettanto si può dire per la sotto occupazione dei laureati, che è una rimessa fortissima per lo Stato e le famiglie. Sono fondi che potevano e dovevano essere investiti in altro modo, perché non ha senso che un giovane investa risorse in una scolarizzazione di livello universitario per poi trovarsi alle prese con lavori di basso o bassissimo profilo.
La cultura personale si può coltivare in modo più intelligente e piacevole, senza necessariamente impegnarsi a costruire curricula accademici.

Il nepotismo nella scienza è un fenomeno che esiste certamente in Italia ed anche un po' ovunque nel mondo. A parte ciò, al pari di Allesina, non siamo d'accordo nello sparare nel mucchio, senza un minimo di distinguo. Ad esempio dobbiamo essere consapevoli che i ricercatori universitari italiani sembra siano fra i più produttivi al mondo, pure operando in condizioni precarie.
Citiamo a tal riguardo lo studio di David A. King, "The scientific impact of nations", pubblicato su Nature (5 Luglio 2004, vol. 430, pagg. 311-316), di cui forniamo il link alla Tabella n. 1 (http://www.nature.com/nature/journal/v430/n6997/fig_tab/430311a_T1.html), che riporta i dati sulla produttività scientifica in trenta Paesi.
Di seguito, riportiamo un link al commento di Ugo Amaldi (2008) a questo studio, dal titolo:"La ricerca italiana di punta produce risultati più citati internazionalmente di quelle americana, francese, tedesca e giapponese" (http://www.buconero.eu/2008/11/il-prof-ugo-amaldi-sulla-ricerca-italiana/). Secondo questi lavori la ricerca italiana non ci fa una brutta figura, posizionandosi ai primi posti. Anche questo è un dato che andrebbe interpretato.
Ciò significa forse che i meritevoli, proprio in quanto "precarizzati", scrivono di più e bene, mentre i raccomandati immeritevoli producono pur qualcosa? Non sapremmo proprio.
Che dire poi di quelli che nonostante siano "figli d'arte" si sono dimostrati scienziati di notevole valore. Anche loro, seppure in situazioni molto più confortevoli, sono vittime di questa incredibile situazione. Condividiamo il suggerimento del professor Virgilio Ferrario (Preside della facoltà statale di Medicina di Milano), il quale ebbe modo di dire in una intervista "...il nepotismo c'è ma si faccia la cortesia di vedere cosa succede nell'amministrazione pubblica" (http://www.vip.it/stefano-allesina-ricercatore-a-chicago-con-una-formula-svela-il-nepotismo-nelle-universita-italiane/). Siamo infatti di fronte ad un Sistema Paese che ha mutato le sue caratteristiche di reclutamento degli intellettuali nel suo complesso.

Emerge comunque la forte responsabilità della classe politica, che in molti casi ha operato attivamente perché l'Università (e il discorso vale anche per gli altri Enti) fosse esattamente così. Se i decisori avessero operato con maggiore correttezza, avendo presenti anche le esigenze della ricerca, una situazione del genere non si sarebbe mai potuta verificare.
Il fenomeno rappresenta, per la nostra società, una specie di selezione alla rovescia con esiti funesti. Così il risultato è che le condizioni di illegalità che hanno generato fenomeni come "tangentopoli", "bancopoli" e "vallettopoli" ci hanno, alla fine, regalato "cretinopoli".

Speriamo solo che i giovani studiosi e intelligenti, alla fine non ci lascino soli con l'unica compagnia di una moltitudine di scienziati e alti dirigenti da operetta, però forniti di pedigree. Persone a cui calzano a pennello i versi di Emily Dickinson.

...Com'è squallido - essere - Qualcuno!
Com'è ordinario - come una Rana -
Dire il proprio nome - per tutto giugno -
A un Pantano in estasi per lei!

Emily Dickinson - I'm Nobody! Who are you? (1861)



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