Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche
Webzine Sanità Pubblica Veterinaria: Numero 47, Aprile 2008 [http://www.spvet.it/] ISSN 1592-1581
Documento reperibile all'indirizzo: http://www.spvet.it/arretrati/numero-47/002.html

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Aspetti socio-economici della Zootecnia Biologica



Bigazzi G.


1. INTRODUZIONE

La zootecnia biologica, come più in generale il "movimento biologico", nasce da motivazioni etico-sociali. L'esigenza principe che ha ispirato il movimento è quella della ricerca di sistemi di produzione ed allevamento compatibili con uno sviluppo sostenibile, il rispetto del benessere animale e la crescente richiesta di prodotti "naturali" da parte dei consumatori.
In altre parole un modello alternativo all'allevamento intensivo, tipico sistema di produzione impostosi nei cosiddetti Paesi economicamente "sviluppati" a partire dal secondo dopo guerra.

Operando all'interno di un complesso sistema economico, l'allevamento biologico può essere analizzato sotto molteplici punti di vista.
Una valutazione economica, ponendo prevalentemente l'accento sulla performance in termini di efficienza produttiva e di ottimizzazione del profitto aziendale, si basa sull'analisi dell'andamento dei costi e ricavi dell'impresa e di altre grandezze economiche.

Una impresa con forti connotazioni etico-sociali si basa invece su parametri difficilmente contabilizzabili. In questo ambito ci si trova a valutare variabili come il benessere animale ed i vantaggi derivanti da una produzione ecosostenibile per consumatori e per l'ambiente, mentre i principi di minimizzazione dei costi e massimizzazione dei ricavi passano in secondo piano.

In questo articolo abbiamo cercato di tracciare sommariamente il contesto economico da cui si è sviluppato il sistema produttivo biologico, i suoi principi fondanti, gli sviluppi del mercato italiano e le principali problematiche derivanti dalla sua adozione.

LA ZOOTECNIA BIOLOGICA COME SISTEMA PRODUTTIVO ALTERNATIVO

Secondo Kledal P. R. (2003), esaminando i differenti metodi di produzione e commercio dei prodotti alimentari, possono essere identificati in via generale tre sistemi di produzione alimentare succedutisi dal periodo precedente al primo conflitto mondiale fino ai giorni nostri.

Il primo, iniziato dagli ultimi decenni del XIX secolo e terminato con la grande depressione del 1929, è stato caratterizzato da relazioni di produzione capitaliste estensive in cui, grazie alla rivoluzione dei trasporti, le esportazioni di prodotti agricoli e semilavorati delle colonie in Africa, Sud America ed Australasia venivano dirette verso il Nord America e l'Europa Occidentale in cambio di manufatti, lavoro e capitali.

Il secondo, sviluppatosi dalla Seconda Guerra Mondiale fino alla crisi petrolifera degli anni '70, è stato caratterizzato dalla diffusione a livello mondiale del protezionismo statale nel settore agricolo, dal fenomeno di concentrazione delle unità produttive e da un pesante processo di "industrializzazione" delle tecniche di coltivazione ed allevamento, attuato attraverso la progressiva sostituzione del lavoro umano con l'impiego della meccanica.

Infine, viene identificato un terzo sistema di produzione, ancora in via di definizione, contraddistinto dalla presenza di dinamiche economiche e tecnologiche che stanno spingendo verso esiti differenti.
Si riscontra il consolidamento del ruolo del capitale nell'industria di trasformazione dei prodotti alimentari, l'emergere delle biotecnologie, e, sebbene tra numerose difficoltà, l'avanzare del processo di liberalizzazione del commercio e di riduzione degli aiuti statali in agricoltura nei paesi sviluppati promosso dal WTO (World Trade Organization); tutte componenti che stanno favorendo il rafforzamento delle grandi corporations multinazionali del settore agroalimentare.
Dall'altro la crescente consapevolezza dei consumatori, insieme all'emergere delle problematiche ambientali e di patologie legate ai sistemi di produzione agro-industriale intensivi, stanno rafforzando la necessità di trovare sistemi produttivi sostenibili dal punto di vista ambientale e del benessere animale.

Come viene affermato anche da Stott A.W. (2003, pagg. 13-15) l'incremento dei rischi associati alla globalizzazione, e quindi dalla diffusione dell'allevamento intensivo, può far volgere l'attenzione dal principio di breve termine della massimizzazione dei profitti, a quello di lungo termine della creazione di sistemi produttivi ecocompatibili.
Tale considerazione trova appunto riscontro nei principi ispiratori dell'allevamento biologico. In questo ambito, il sistema di produzione biologico sta acquisendo il ruolo di contromovimento ambientalista, tendente alla creazione di un sistema di produzione circolare incentrato sulle complementarità tra terra/vegetale, vegetale/animale e animale/terra. Infatti, nel caso della zootecnia, uno dei principi fondanti è l'allevamento come attività di "produzione [necessariamente] legata alla terra" (All. B, Regolamento CEE N. 2092/91).

Il rispetto di questo principio viene valutato attraverso tre criteri:

1) Il rapporto tra Unita di Bestiame Adulto (UBA) e la Superficie Agricola Utilizzata (SAU);
2) L'utilizzo di mangimi prodotti all'interno dell'unita produttiva (almeno il 35% della sostanza secca della razione deve essere ottenuta dalla SAU aziendale, o almeno da aree attigue nel comprensorio);
3) Un'area di pascolo proporzionata al numero di capi.

Tutto ciò per creare un nuovo tipo di sviluppo che implica un differente modo di produzione, un nuovo rapporto tra produttore e consumatore (incentrato sulla rintracciabilità e trasparenza garantita su tutto il ciclo produttivo: dalla produzione, alla preparazione fino al trasporto e alla commercializzazione), la valorizzazione e conservazione delle tipicità (naturali, storiche, sociali ecc.) del territorio (Polidori, 2002).

SVILUPPI IN ITALIA

Nei primi anni del nuovo millennio, il settore biologico ha conosciuto una crescita sostenuta in tutti i paesi dell'Unione Europea, raggiungendo nel 2004 un totale di circa 5,5 milioni di ettari coltivati con il metodo biologico.
L'Italia è sicuramente uno dei paesi in cui questo ha incontrato maggiore fortuna. Nonostante il declino assoluto della superficie coltivata biologicamente, passata dai 1.237.640 ettari del 2001 ai 1.067.101 nel 2005, l'Italia si conferma al primo posto Europa, sia per superficie totale biologica che per numero di aziende biologiche (49.859 nel 2005) (dati Sinab), mantenendo una posizione di tutto rispetto anche a livello mondiale. Il valore stimato degli acquisti delle famiglie italiane in prodotti biologici confezionati per il 2002 è di circa 301 milioni di Euro (Ismea, 2002).
Nel settore zootecnico, nonostante alcune differenze tra le diverse specie, si è assistito ad un tendenziale aumento del numero di capi allevati con metodo biologico, specialmente dal 2002 al 2005 (tab. 1).

Tab. 1 Numero di capi allevati con metodo biologico per specie dal 2001 al 2005:
 BOVINI OVINI CAPRINI SUINI POLLAME
2001330.701301.60126.290 25.435 648.693
2002164.536608.68759.764 19.917 939.396
2003189.806436.186101.21120.513 1.287.131
2004 215.022 499.978 56.815 26.508 2.152.295
2005 222.516 738.737 86.537 31.338 977.537
Fonte: Sinab (Sistema d'Informazione Nazionale sull'Agricoltura Biologica), http://www.sinab.it


PROBLEMATICHE ECONOMICHE DELL'ALLEVAMENTO BIOLOGICO

Tracciare una valutazione univoca sulle prestazioni economiche delle aziende zootecniche biologiche rispetto a quelle convenzionali, è sicuramente un compito difficile. Questo sia per le ampie differenze che si riscontrano tra i vari settori dell'allevamento animale sia per i differenti risultati evidenziati in una stessa tipologia di allevamento.

Inoltre i vari studi e ricerche sugli aspetti economici degli allevamenti biologici coprono molto spesso solo un limitato numero di aziende, e dunque non permettono ampie generalizzazioni.
Alcuni autori osservano che se alcune pratiche tecniche dell'allevamento biologico determinano un aumento dei costi di produzione, per altre è vero il contrario. Tuttavia le pratiche biologiche in genere, come ad es. il solo rispetto dei cicli biologici degli animali, comportano sicuramente per l'azienda biologica maggiori problemi organizzativi e maggiore rischio d'impresa (Polidori, 2002).

La legislazione vigente impone una lunga serie di vincoli agli allevatori biologici come:

- la particolare alimentazione, finalizzata ad una produzione di qualità piuttosto che alla massimizzazione della produzione (composta esclusivamente da alimenti biologici, possibilmente prodotti all'interno dell'azienda);
- la tecnica di allevamento estensivo, con il divieto della stabulazione fissa e l'obbligo di mantenere l'equilibrio tra estensione del pascolo e numero degli animali;
- i maggiori tempi richiesti per l'accrescimento degli animali;
- le particolari cure veterinarie, ecc. (allegato 1/b del Regolamento CEE N. 2092/91).

Tali obbligazioni si traducono in costi di produzione superiori rispetto all'allevamento intensivo, anche se ciò dovrebbe essere controbilanciato dai superiori prezzi di vendita che i prodotti biologici possono spuntare nel mercato (Pignattelli P., 2002).

Il capitolo di spesa che sembra creare le maggiori problematiche alla gestione delle imprese biologiche è quello riservato all'alimentazione.
Alcuni studi effettuati su allevamenti bovini e bufalini (Masucci F. e al., 2003) ed avicoli (Pignattelli P., 2002) evidenziano come le regolamentazioni riguardanti la composizione delle razioni zootecniche, specialmente quelle che vincolano il rapporto foraggi/concentrati, l'ammontare massimo di sostanza secca e il divieto di uso di integratori, possano comportare un insufficiente apporto di nutrienti; con negative ricadute sull'accrescimento e produttività dell'animale, quindi sulla vendibilità dei prodotti derivati.
Da un'altro studio (Roselli, 2004) riguardante un'azienda bufalina campana emerge un incremento dei costi di produzione derivanti dall'acquisto di mangimi e concentrati, data la cospicua differenza nel prezzo di mercato rispetto a quelli convenzionali. Per contro il costo degli alimenti prodotti all'interno dell'azienda risulta minore, date le più basse spese associate alla coltivazione di foraggere biologiche.

Il settore biologico però non ha mancato di mostrare anche una certa adattabilità alle logiche di mercato.
Più precisamente, le tipologie di produzione (ad es. produzione di uova) che presentano differenze poco significative in termini di organizzazione e costi rispetto agli allevamenti intensivi hanno conosciuto notevoli passi di crescita (Hamm U. e Gronefeld F., 2003).
Scarcera A. e Trione S. (2003) rilevano che lo stessa zootecnia biologica può soddisfare il principio dell'efficienza economica. Pur riconoscendo che non emergono risultati univoci per attestare la superiorità del sistema convenzionale rispetto a quello biologico e viceversa, evidenziano come i sistemi di allevamento biologico si dimostrino, sotto certi aspetti economici, altamente competitivi.
Caratterizzati da sistemi estensivi con basse intensità di impiego di lavoro e di capitale di esercizio per SAU (Superficie Agricola Utilizzata) e da una Produzione Lorda Vendibile generalmente inferiore (tranne che per i caprini) agli allevamenti convenzionali, il sistema biologico remunera in modo migliore i fattori produttivi impiegati, in particolar modo il lavoro. Altri studi (De Roest K., Manghi A., 2003, pag. 2) evidenziano buone prestazioni economiche anche nei settori che meno si prestano al metodo biologico, come quello suinicolo e della produzione di latte bovino.

Inoltre nelle aree rurali marginali, caratterizzate da mercati imperfetti e/o incompleti, da elevati costi di transazione e dalla scarsa presenza di infrastrutture, il sistema di allevamento biologico si è spesso rivelato l'unica possibilità per attivare processi di sviluppo rurale, attraverso la valorizzazione delle risorse locali (produzioni tipiche, turismo, ecc.) che altrimenti non sarebbero sfruttabili con i metodi di allevamento convenzionali (Polidori R.; 2002). Ciò emerge anche dalla relazione di Ansaloni F. e Cammertoni V. (2003) riguardante lo sviluppo di allevamenti biologici (suini, ovini e caprini) all'interno dell'area protetta del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

Dal colloquio con il Sig. Oriando Cardinali, Presidente dell'Associazione Federcarni, emerge che fra le problematiche maggiori nell'approvvigionamento di carne bovina biologica ci sono il ridotto numero e dimensione media delle aziende. Il sottodimensionamento delle imprese biologiche non consente infatti un approvvigionamento costante, e quindi un'offerta continuativa di questi prodotti ai consumatori.
Per il Presidente di Federcarni, le peculiarità delle carni ottenute da animali allevati con metodo biologico hanno grandi potenzialità da esprimere nel mercato. Purtroppo la difficoltà nei canali di approvvigionamento, dovuta al basso livello di offerta espressa, insieme alla sovente totale mancanza di consapevolezza del consumatore, rappresentano seri ostacoli allo sviluppo del settore.
Di fronte alle notevoli differenze nelle caratteristiche visive (spesso le carni biologiche risultano meno appetibili rispetto ai gusti standardizzati dei consumatori), e dai maggiori prezzi delle carni biologiche rispetto a quelle da allevamento intensivo, il consumatore tende a preferire le seconde alle prime. Ciò è confermato dalla situazione di stallo nelle vendite - Afferma il Sig. Cardinali - dopo un sostanziale aumento delle vendite di carni biologiche a seguito dei casi dell'encefalopatia spongiforme bovina (mucca pazza) e dell'influenza aviaria le vendite sono tornate sui livelli precedenti rimanendo in una fase di stallo.

CONCLUSIONI

Esprimere un giudizio sull'efficienza economica delle produzioni animali biologiche non è sicuramente un compito facile. Per una valutazione della zootecnia biologica, come abbiamo visto, entrano in gioco necessariamente altre considerazioni che trascendono una valutazione dell'efficienza basata sull'analisi dei costi e dei ricavi.
L'introduzione all'interno della gestione del processo produttivo di variabili come il benessere animale, sviluppo sostenibile e valorizzazione della tipicità rappresentano sicuramente un ardito tentativo di mettere in discussione, non solo il sistema di allevamento intensivo ma anche le logiche dominanti del mercato globale.
Le aziende biologiche si trovano tuttavia obbligate ad operare secondo le logiche del mercato per sopravvivere. In quest'ottica, come riconosciuto sia dal Presidente di Federcarni Sig. Oriando Cardinali, e da Polidori (2002), adeguate politiche di informazione verso il consumatore e di promozione della qualità dei prodotti biologici da parte di enti pubblici diventano fondamentali per lo sviluppo di questo settore.

BIBLIOGRAFIA

- Ansaloni F. e Cammertoni V., (2003), "Sustainable production methods and economic development of the marginal rural zones of the Italian Central Apennines", Proceding of the 1st SAFO Workshop, Firenze.

- Cardinali Oriando, intervista rilasciata il 4/5/2007 presso l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche, sede di Perugia, Via G. Salvemini n.1

- De Roest K., Manghi A., (2003), "Alcuni aspetti economici delle principali produzioni zootecniche biologiche in Europa e nel mondo", http://www.inea.it/zoobio_ita/zoowp2.doc

- Kledal P.R., (2003), "Political Economy of organic foods", Proceding of the 1st SAFO Workshop, Firenze.

- Hamm U. e Gronefeld, (2003), "Market Situation for organic livestock products in Europe", Proceding of the 1st SAFO Workshop, Firenze.

- ISMEA (Istituto per i Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) (2003), "Panel Famiglie - La spesa domestica per i prodotti biologici confezionati nel 2002".

- Masucci F., Maresca di Serracapriola M.T., Vozzella A., Di Francia A., De Rosa G., Napoletano F., Grasso F., (2003), "Problematiche alimentari e del benessere animale in alcune aziende biologiche bovine e bufaline della Campania", 2° Workshop sull'Agricoltura Biologica, Università degli studi di Napoli "Federico II".

- Pignattelli P., (2002), "Avicoltura Biologica: dalla produzione alla commercializzazione", AZBIO, 2002, N.°11, 8-18.

- Polidori R., (2002), "Innovazione e sviluppo rurale: il metodo di produzione della zootecnia biologica in Italia", 2° Convegno Nazionale "Zootecnia biologica italiana: dal Produttore al consumatore", Arezzo 5/4/2002.

- REGOLAMENTO (CEE) N. 2092/91 DEL CONSIGLIO del 24 giugno 1991 - relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari. (testo consolidato al 01/05/2004) http://europa.eu.int/eur-lex/it/consleg/pdf/1991/it_1991R2092_do_001.pdf.

- Roselli Luigi, 2004, "Convenienza economica del metodo biologico negli allevamenti bufalini", working paper n. 6/2004, Università degli studi di Napoli "Federico II".

- Scardera A. e Trione S., (2003), "Struttura e risultati economici delle aziende biologiche con allevamento".

- SINAB, Sistema d'Informazione Nazionale sull'Agricoltura Biologica, http://www.sinab.it.

- Stott A.W., (2003), "Potential contribution of economics to animal health and food safety on organic farms", Proceding of the 1st SAFO Workshop, Firenze.