Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche
Webzine Sanità Pubblica Veterinaria: Numero 38 Novembre 2006 [http://www.spvet.it/]
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National Residues Plan: origin, purposes and evolution
Il Piano Nazionale Residui: origine, scopi ed evoluzione


Galarini R., Antonini C.



Summary: The wide topic of the National Residues Plain (PNR) in Europe is discussed, over a time of twenty years; from the 1988 to 2006. Thanks to the PNR a complex action of surveillance, scheduled in the space and in the time, has been accomplished. The purpose has been establish a reliable system capable to provide information about risks to which the consumers is exposed for different kind of residues, such as chemicals, veterinary medicinal products and environmental pollutants.
The organization of a network of European laboratories and its relationship with the official control systems is outlined, so as the implementation of the Quality System.
At he end the paper bring out interesting information about the the minimal requisite of analytical methods required in the PNR routine chemical determinations.


1. INTRODUZIONE

Le conoscenze scientifiche hanno ormai confermato che un fattore chiave della salute umana è rappresentato da una corretta alimentazione che, intesa in senso ampio, può essere compromessa non solo da errate abitudini nutrizionali del singolo individuo, ma anche da fattori da lui indipendenti e non sempre facilmente controllabili e gestibili, quali l'intervento dell'uomo produttore-venditore di alimenti.
Fin dall'antichità i governanti hanno stabilito regole per proteggere i "consumatori" contro le pratiche fraudolente associate al commercio di alimenti. Nell'antica Grecia si compivano ispezioni per accertare la purezza ed il buono stato della birra e del vino, ed anche in epoca romana, fu creato un sistema statale per tutelare i cittadini da frodi o da prodotti di qualità scadente.
Qualità e sicurezza degli alimenti, quindi, sono oggetto dell'attenzione dell'uomo sin dall'antichità, ma è solo nel XIX secolo che i problemi relativi alla sicurezza alimentare diventano un impegno costante e crescente per i governi. Risalgono, infatti, alla seconda metà del XIX secolo le prime leggi sugli alimenti e, per verificare che queste fossero rispettate, s'istituirono dei sistemi di controllo.
In questo stesso periodo, la chimica degli alimenti (bromatologia) assume la dignità di vera e propria disciplina scientifica e la determinazione della purezza dei cibi cominciò a basarsi principalmente su parametri analitici relativi alla loro composizione.
Durante il XX secolo la disomogeneità di leggi e norme alimentari tra i vari stati rappresentava inevitabilmente un ostacolo al commercio di alimenti sicuri e di qualità ben definita. Da ciò nacque l'esigenza di armonizzare e di regolamentare questo settore. L'aumento delle informazioni disponibili servì anche a sensibilizzare i consumatori ai problemi della sicurezza alimentare. Infatti, mentre in precedenza la preoccupazione era legata alle caratteristiche "visibili" di un alimento, in questo periodo nasce il timore per l'"invisibile" ovvero per i pericoli non percepibili con vista, olfatto o gusto, come per esempio microrganismi, contaminanti ambientali e additivi alimentari.

Nella seconda metà del XX secolo il lavoro delle Commissioni della FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) e del WHO (World Health Organization) divenne fondamentale per la regolamentazione delle norme e per la creazione di direttive associate ai prodotti alimentari. Si moltiplicarono anche le conferenze e le iniziative di comitati di organizzazioni non governative internazionali, presentando proposte alle Commissioni. Per attuare un programma articolato e capillare di norme alimentari, nel 1962 la FAO e il WHO istituirono la Commissione intergovernativa del Codex Alimentarius.
Il compito della Commissione fu, fin dalla sua creazione, quello di elaborare standards e linee guida uniformi per la produzione degli alimenti, per regolarne la commercializzazione, facilitare gli scambi ed assicurare al consumatore una sicurezza indipendente dal luogo di provenienza del prodotto.
La Commissione del Codex Alimentarius ha adottato e pubblicato ben 237 norme alimentari e 41 codici d'uso in materia di igiene e codici d'uso tecnologico. Sono stati, inoltre, valutati, sotto l'aspetto della sicurezza più di 800 additivi alimentari e contaminanti e fissati più di 3200 limiti massimi di residui per i pesticidi.

La Commissione del Codex, di cui attualmente sono membri 171 Paesi ed una Organizzazione di integrazione economica regionale (la Comunità Europea), rappresenta più del 98% della popolazione mondiale e costituisce il principale forum di incontro internazionale in materia di sicurezza alimentare e commercio dei prodotti alimentari.
Essa è quindi il punto di riferimento mondiale per i governi, i consumatori, gli operatori della catena alimentare, gli organi nazionali di controllo degli alimenti e per il commercio internazionale degli stessi.
La Commissione del Codex si riunisce ogni due anni, alternativamente a Roma nella sede della FAO e a Ginevra, nella sede della WHO. Alle sessioni prendono parte delegazioni nazionali composte da alti funzionari nominati dai relativi governi nell'ambito dell'industria, delle organizzazioni dei consumatori e degli istituti universitari.

Il lavoro della Commissione del Codex Alimentarius si realizza attraverso l'ausilio di due tipi di organi: I Comitati orizzontali sono nove e si occupano di questioni, di concetti e di principi di interesse generale che riguardano l'insieme delle derrate alimentari, mentre i Comitati verticali sono tredici e sono incaricati di elaborare norme su alimenti specifici o su categorie di alimenti. I Comitati regionali, infine, si occupano di problemi e di bisogni specifici delle diverse aree mondiali.
I Paesi comunitari, membri del Codex fin dagli anni sessanta, si sono impegnati nella preparazione di posizioni comuni sui diversi temi in discussione nei Comitati del Codex, in particolare, quando questi argomenti sono di competenza della legislazione comunitaria. La procedura seguita in questo lavoro di coordinamento è descritta nella decisione del Consiglio del 17 novembre 2003, relativa all'adesione della Comunità europea al Codex: Il Codex Alimentarius, dunque, ha rappresentato, e rappresenta, il punto di partenza e di riferimento per la creazione di quei piani regolatori che disciplinano attualmente i sistemi di controllo degli alimenti sia a livello comunitario che nazionale. Infatti, l'Unione europea (UE) nell'elaborare la propria legislazione alimentare deve tenere conto delle norme internazionali vigenti, a meno che esse non siano ritenute inefficaci o inadeguate per il conseguimento degli obiettivi della politica sanitaria e alimentare europea. Infine, l'UE oltre a partecipare attivamente alle varie organizzazioni internazionali competenti, con l'adozione nel 2000 del "Libro bianco sulla sicurezza alimentare", ha delineato i principi generali su cui fondare il commercio internazionale (importazione ed esportazione) dei prodotti alimentari e dei mangimi.

2. IL PIANO NAZIONALE RESIDUI

2.1. Il quadro antecedente all'istituzione del Piano Nazionale Residui

I prodotti di origine animale, come carne, latte, uova costituiscono la parte preponderante dell'alimentazione nei Paesi industrializzati e la sempre crescente domanda di alimenti proteici ha stimolato e condizionato lo sviluppo della zootecnia sia attraverso la selezione genetica ed il miglioramento delle tecniche di produzione, trasformazione e conservazione di mangimi e foraggi, sia attraverso il ricorso alla somministrazione di sostanze diverse da quelle alimentari, quali farmaci, additivi, ormoni ecc.
Tra queste molecole, quelle maggiormente utilizzate per incrementare il rendimento delle produzioni zootecniche, sono state e sono i prodotti ad azione ormonale ed antiormonale, gli antibiotici, i beta-agonisti, il cui impiego, purtroppo, non è esente da rischi igienico-sanitari, sia sugli alimenti che sulla salute del consumatore. Una vasta serie di molecole autorizzate (antibiotici, antielmintici, anticoccidici..) sono, inoltre, impiegate in allevamento come medicinali veterinari nella prevenzione e nella cura delle malattie.
Il problema del controllo dei residui nelle derrate alimentari di origine animale si è così intensificato con il passare del tempo anche per l'attenzione e l'interesse sempre maggiori che il consumatore ha rivolto a questa tematica. D'altra parte, la preoccupazione è, come abbiamo visto, giustificata dal fatto che un numero crescente di farmaci viene impiegato nelle produzioni animali e ciò, potenzialmente, espone il cittadino all'assunzione di residui di xenobiotici, se pur in piccole quantità, per la durata di tutta una vita.
Di conseguenza negli ultimi decenni il legislatore, sia in ambito comunitario che nazionale, si è fortemente impegnato a emanare tutta una serie di normative allo scopo di migliorare gli aspetti inerenti alla sicurezza alimentare. A tale proposito va detto che il nostro Paese è stato tra i primi dell'Unione europea ad adottare normative molto severe relativamente all'impiego di sostanze ormonali come fattori di crescita. Risalgono, infatti, ai primi anni sessanta i divieti relativi all'utilizzo di sostanze ad azione ormonale e tireostatica: Sempre in questi anni sono promulgate le norme nazionali che pongono le basi della moderna legislazione sugli alimenti e sui mangimi: 2.2. Istituzione del Piano Nazionale Residui

Il tema dell'igiene e della sicurezza degli alimenti di origine animale è una fase complessa ed articolata che fa parte di un processo che inizia in allevamento con la lotta alle malattie infettive trasmissibili tra animali, e di cui fanno parte la lotta alle zoonosi, il controllo degli alimenti destinati agli animali, la vigilanza sull'inquinamento ambientale di derivazione animale, la sorveglianza sul benessere e sanità animale.
Se certe sostanze possono essere assunte dagli animali in modo del tutto involontario o accidentale (contaminanti ambientali), esistono invece, come sopra accennato, molecole che vengono loro somministrate volontariamente.
Si tratta sia di farmaci veterinari autorizzati utilizzati a scopi terapeutici, sia di promotori di crescita (sostanze ad azione ormonale) somministrati in modo del tutto illecito per aumentare le rese delle produzioni di carne.
Il legislatore, da oltre quarant'anni, sta richiamando l'attenzione degli operatori sanitari su queste problematiche legate sostanzialmente alla presenza di residui, i cui effetti biologici sono strettamente correlati alle caratteristiche tossicologiche del farmaco progenitore, alla sua metabolizzazione nell'organismo animale, ai legami che i diversi metaboliti formano con le molecole biologiche e che ne condizionano la biodisponibilità, oltre che la loro degradazione.

Nella Comunità europea il problema dei residui delle sostanze ad azione anabolizzante utilizzate in zootecnica venne alla ribalta nel 1981 con la Direttiva 81/602/CEE (1), (2): A causa del problema dei residui di anabolizzanti nelle carni, con questa Direttiva gli Stati membri decidevano di vietare la somministrazione agli animali in allevamento di sostanze ad azione tireostatica, estrogena, androgena e gestagena e l'immissione sul mercato di animali ai quali fossero state somministrate dette sostanze.
All'articolo 4 la Direttiva permetteva, tuttavia, l'utilizzo, al solo scopo terapeutico, di alcune molecole ad azione estrogena, androgena e gestagena, autorizzate in conformità alle direttive concernenti i medicinali veterinari.
Infine, la possibilità di impiegare cinque ormoni (estradiolo, progesterone, testosterone, trenbolone e zeranolo) in allevamento a scopo d'ingrasso, rimaneva ancora oggetto di studi ulteriori allo scopo di determinarne la pericolosità per la salute pubblica e l'eventuale autorizzazione futura.

A seguito di questo provvedimento, la Comunità europea, con la Direttiva 86/469/CEE, decise di istituire dei piani sistematici di controllo degli animali e delle carni fresche per la presenza di residui di medicinali veterinari e di altri contaminanti, ritenuti un rischio per la salute del consumatore, oltre che un danno per la qualità delle carni:
Fino ad allora, infatti, le modalità di controllo, la frequenza dei campionamenti e le concentrazioni massime consentite di residui di farmaci e contaminanti ambientali erano disciplinate in maniera profondamente eterogenea nei vari Stati membri.
Ciò comportava, fra l'altro, notevoli ostacoli agli scambi intracomunitari ed una distorsione delle condizioni di concorrenza tra produzioni.
Pertanto fu necessario trovare una soluzione globale e uniforme per l'effettuazione dei controlli all'interno della Comunità per la ricerca di residui negli animali di allevamento, nelle carni e nei prodotti a base di carne, sia che questi prodotti fossero destinati al mercato nazionale degli Stati membri oppure agli scambi intracomunitari. Venne, quindi, stabilito che gli Stati membri avrebbero dovuto elaborare un Piano annuale di controllo tenendo conto della propria specifica situazione.

La Direttiva 86/469/CEE sanciva, inoltre, che i campionamenti fossero eseguiti in modo ufficiale secondo criteri comuni per le diverse categorie di sostanze interessate e che i campioni venissero analizzati in laboratori ufficialmente autorizzati.
Ed infine, qualora una determinazione analitica avesse rilevato la presenza di residui di sostanze non consentite o di sostanze consentite in concentrazione superiore al limite ammesso (campione non conforme), si imponeva l'adozione di misure comuni intese ad accertare la causa della non conformità e ad eliminare il problema ed atte ad assicurare che i prodotti coinvolti fossero effettivamente esclusi dal consumo.
Ciascun Paese Membro doveva, quindi, provvedere affinché la ricerca dei residui negli animali, nei loro escrementi e liquidi biologici nonché nei tessuti e nelle carni fresche venisse eseguita conformemente alle prescrizioni dettate dalla Direttiva 86/469/CEE. Inoltre, i singoli paesi della Comunità europea affidavano ad un servizio o organismo centrale il compito di coordinare l'esecuzione dei controlli previsti dalla Direttiva. Tale organismo doveva coordinare le attività dei servizi regionali effettivamente incaricati di effettuare i controlli, raccogliere i risultati e le informazioni che sarebbero state trasmesse alla Commissione, ed infine, e di primaria importanza, elaborare annualmente i piani stessi.

All'articolo 4 la Direttiva 86/469 richiedeva esplicitamente a ciascun Paese membro di redigere: L'elenco completo e la classificazione delle sostanze da ricercare era riportato nell'Allegato I della Direttiva (Tabella 1).

Tabella 1 - Categorie di residui secondo la Direttiva 86/469
A) CATEGORIE COMUNI A TUTTI GLI STATI MEMBRI
categoria I a) Stilbene, derivati dello stilbene, loro sali ed esteri
b) Sostanze tireostatiche
c) Altre sostanze ad azione estrogena, androgena o gestagena ad eccezione di quelle della categoria A, II
categoria II Sostanze autorizzate conformemente all'articolo 4 della direttiva 81/602/CEE ed all'articolo 2 della direttiva 85/649/CEE
categoria IIIa) Sostanze inibenti - Antibiotici, sulfamidici ed altre sostanze antimicrobiche analoghe
b) Cloramfenicolo
B) CATEGORIE SPECIFICHE
categoria I - Altri farmaci a) Sostanze impiegate contro endo- ed ectoparassiti
b) Tranquillanti e beta-bloccanti
c) Altri farmaci veterinari
categoria II - Altri residuia) Contaminanti presenti negli alimenti del bestiame
b) Contaminanti presenti nell'ambiente
c) Altre sostanze


Riassumendo, da questo momento in poi ogni Paese membro, tenendo conto della propria situazione specifica, avrebbe dovuto farsi carico: L'approvazione dei singoli piani nazionali veniva decisa dalla Commissione europea previa verifica della loro conformità ai requisisti della Direttiva CEE 86/469; in caso di mancata approvazione lo Stato Membro avrebbe dovuto modificare e/o completare il piano proposto.

2.2.1. Il Piano Nazionale Residui 1988

In attuazione alla Direttiva CEE 86/469 l'Italia promulgò il piano di controllo dei residui contenuto nell'Allegato della Circolare ministeriale: Il piano italiano, che riguardava esclusivamente la ricerca delle sostanze A,I e A,II, (Tabella 1) veniva approvato contestualmente nello stesso febbraio del 1988 dalla Commissione europea con la Decisione: La Circolare n.12 indicava nel dettaglio i controlli da effettuare negli allevamenti e nei macelli al fine di reprimere l'illecito impiego di sostanze utilizzate come fattori di crescita (estrogeni, androgeni, progestinici) e sostanze ad azione antiormonale (tireostatici).
I controlli dovevano svolgersi in conformità a due distinti programmi tra loro integrati: Il Piano CEE rappresentava l'attuazione vera e propria della Direttiva 86/469/CEE ed insisteva sull'importanza che i campioni da esaminare dovessero essere prelevati con criteri di assoluta casualità ed essere effettuati in un numero statisticamente significativo di soggetti e, comunque, non inferiore a quello attribuito a ciascuna Regione e Istituto.
Inoltre, in base agli esiti delle analisi, della disponibilità di nuove metodiche analitiche e del miglioramento delle modalità di campionamento, il Piano avrebbe potuto subire variazioni nel corso degli anni riguardo al numero di campioni da prelevare e alle sostanze da esaminare.

Il Piano Nazionale rappresentava un'integrazione del Piano CEE e veniva effettuato per ragioni di continuità con la vigilanza attuata negli anni antecedenti all'avvio del Piano comunitario. Esso differiva dal Piano CEE sostanzialmente perché si orientava ad un controllo di massa degli animali con prelievo di campioni soprattutto in caso di sospetto di un trattamento illecito. Le modalità di prelievo, invio dei campioni ed i provvedimenti da adottarsi in caso di illecito erano comunque analoghi a quelli previsti dal Piano CEE.
La Circolare 12/88 ribadiva il divieto per gli allevatori di detenere o somministrare agli animali sostanze ad azione ormonale (estrogeni, androgeni, progestinici) e sostanze ad azione antiormonale (tireostatici), nel caso in cui queste venissero utilizzate come fattori di crescita o di neutralizzazione sessuale negli animali destinati all'alimentazione umana. Invece, l'impiego di sostanze ad azione ormonale era consentito quando esse fossero incluse in specialità medicinali regolarmente autorizzate e somministrate da un veterinario.

Durante questa fase di avvio si stabiliscono le frequenze di campionamento che serviranno a fissare i criteri che avrebbero regolato il passaggio alle fasi successive: fase intensiva e fase di routine. I laboratori ufficiali individuati per l'esecuzione degli accertamenti analitici sui campioni sono quelli degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali che hanno l'obbligo di operare conformemente ai metodi indicati per ciascun residuo, mentre il coordinamento delle norme e dei metodi di analisi è affidato all'Istituto Superiore di Sanità (ISS) che svolge la funzione di laboratorio di riferimento. Le sostanze da ricercare appartengono alle seguenti categorie, secondo quanto indicato nella classificazione proposta dalla Direttiva 86/469/CEE: In Italia erano autorizzate a scopo terapeutico sotto forma di specialità medicinali le seguenti sostanze: Complessivamente il numero di controlli da effettuarsi era di 7650 campioni, di cui 6950 per la ricerca di sostanze appartenenti alla categoria A, I e 700 per la ricerca delle sostanze della categoria A, II.
Inoltre, ad eccezione di circa 700 campioni effettuati per la specie suina (categoria A, I), tutti i prelievi interessavano la specie bovina.

2.2.2. Piano Nazionale Residui 1989

E' a partire dal 1989, sempre in attuazione della Direttiva 86/469/CEE (recepita successivamente con il D.L.vo 27 gennaio 1992, n.118), che in Italia vennero predisposti ed attuati Piani di campionamento per la ricerca di residui di sostanze ad azione ormonale, di farmaci e di contaminanti ambientali (PNR) così come li conosciamo oggi. Con la Circolare n. 6 del 13 aprile 1989: si apportavano alcune modifiche che riguardavano in particolare i provvedimenti da adottarsi da parte delle autorità competenti in caso di riscontro di campioni positivi. La Circolare n. 14 realizzava, quindi, compiutamente il Piano Nazionale per la Ricerca dei Residui (PNR) di Farmaci e Contaminanti Ambientali nelle Carni: Le sostanze da ricercare vennero scelte sulla base delle indicazioni della Direttiva 86/469/CEE con la limitazione dell'esistenza di un metodo pratico di analisi. Inoltre, su richiesta della Commissione europea, alle sostanze contenute nel programma vennero aggiunti i tranquillanti ed i ?-agonisti (clenbuterolo).

Dunque, oltre alle già citate categorie A,I e A,II, nel PNR 1989 le sostanze da ricercare erano: Quindi, rispetto alla Tabella 1 (allegato I della Direttiva 86/469) si specificavano più dettagliatamente le sostanze o i gruppi di sostanze da ricercare e anche le matrici in cui effettuare la determinazione analitica. Per ciò che concerneva i limiti di positività (non conformità), all'epoca veri e propri limiti di tolleranza esistevano solo per i residui di molecole organoclorurate (categoria B, I a) e B, II b), come previsto dalla Ordinanza ministeriale del 6 giugno del 1985: Quindi per i farmaci veterinari compresi nelle categorie A,III e B,I il limite di positività coincideva di fatto con il limite minimo di rilevazione del metodo. Inoltre, alla stessa stregua, per tutti i contaminanti ambientali non contemplati nell'Ordinanza ministeriale 6 giugno 1985, quali metalli pesanti e micotossine (categoria B, II), non esistevano tolleranze. Ciò creò per molti anni un problema normativo, ancora non del tutto colmato, poiché sostanze autorizzate come alcuni medicinali veterinari somministrati anche con mangimi medicati legalmente commercializzati e contaminanti naturalmente presenti nell'ambiente, dovevano risultare di fatto assenti (al di sotto del limite di rilevabilità del metodo analitico) nel campione affinché questo fosse giudicato conforme (negativo).

Il numero complessivo di campioni previsti dalla Circolare n.14 era di 24400 per un totale di 28200 analisi, che, in questo Piano erano divise in modo equilibrato tra bovini e suini. Inoltre si introdussero controlli per alcuni contaminanti ambientali (metalli, PCB ed organoclorurati) anche per gli ovini, i caprini e gli equini.

Nel frattempo, con la Direttiva 88/146, la Comunità impose dal primo gennaio 1988 il divieto di utilizzo di sostanze ad azione ormonale nelle produzioni animali: Con questa provvedimento, tuttavia, si autorizzava l'utilizzo di alcuni ormoni ai soli fini del "trattamento terapeutico", ovvero la somministrazione individuale ad un animale in azienda, sotto controllo vaterinario, di una delle sostanze autorizzate per curare un disturbo della fertilità. Le preparazioni farmaceutiche utilizzabili a questo scopo erano a base di estradiolo, testosterone, progesterone e derivati. Il trattamento terapeutico restava, comunque, vietato per gli animali destinati all'ingrasso.

La Direttiva 88/146/CEE, inoltre, vista la diversa regolamentazione tra la Comunità europea ed altri paesi, vietava agli Stati membri, a partire dal 1° gennaio 1988, l'importazione dai paesi terzi di animali da azienda cui siano state somministrate, in qualsiasi modo, sostanze ad azione tireostatica, estrogena, androgena o gestagena, nonché carni provenienti da tali animali. Infine, si istituiva un programma di controllo sulle importazioni da paesi terzi, mirato a stabilire le frequenze dei controlli per ciascun paese, tenendo anche conto delle garanzie offerte dalle singole regolamentazioni.

2.2.3. Piano Nazionale Residui 1990

Per tenere conto di alcune intese raggiunte in sede CEE, nonché delle indicazioni derivanti dai risultati analitici dei controlli effettuati, si ritenne opportuno mantenere inalterata la frequenza dei controlli nei bovini relativa agli stilbenici (urine e carni) ed al trenbolone (urine).
Di contro, per ciò che riguardava i tireostatici e lo zeranolo si ridussero i prelievi; inoltre venne introdotta la ricerca del 19-nortestosterone (nandrolone) nelle urine e nelle carni bovine.
Rispetto al 1988 e al 1989, per le categorie A, I e A, II, si passa dai 7650 controlli ai 12000 del PNR 1990. L'aumento dell'attività venne compensato razionalizzando i controlli riferiti al cosidetto Piano Nazionale. Conformemente all'art.10 della Direttiva 89/469/CEE, si introdusse il controllo mirato, ovvero la vigilanza orientata su animali e carni "sospetti o in condizioni di sospetto".
Per ciò che riguardava, invece, i controlli dei residui di farmaci veterinari e contaminanti ambientali, non disponendo di sufficienti elementi di valutazione, si confermò sostanzialmente il Piano precedente, attirando, però, l'attenzione sui residui di sulfamidici che sempre più potevano costituire un significativo fattore di rischio.

2.2.4. Piano Nazionale Residui 1991

Il numero dei campioni fu leggermente aumentato rispetto al 1990. Tale aumento era limitato a determinate categorie di animali e riguardava in modo diverso ciascuna regione.
Benché nel 1990 si fosse verificato un solo caso di positività per il DES (dietilstilbestrolo), un estrogeno di sintesi appartenente alla classe degli stilbenici (A,I a), si ritenne necessario mantenere il controllo di tale sostanza nei bovini, mentre la totale mancanza di segnalazioni circa l'uso di sostanze stilbeniche nei suini portò all'esclusione di questi animali dal programma di campionamento.
Invece, l'assenza di positività per i tireostatici, portò ad accantonare la ricerca di tali sostanze nell'ambito del Piano, pur rimanendo sempre possibile il prelievo di campioni "extra piano" in presenza di sospetto ed in tutti i bovini che, alla macellazione, presentavano la tiroide aumentata di volume e di peso (superiore ai 50 grammi).
Dai risultati del 1990, invece, si riscontrò che gli ormoni endogeni (17-beta-estradiolo, progesterone, testosterone…) erano tra i composti più utilizzati, e ciò portò ad un'intensificazione dei controlli.
Inoltre, i numerosi casi di positività rilevati durante il 1990 per un beta-agonista, il clenbuterolo, portarono ad un aumento dei controlli per questa molecola sia nei bovini che nei suini; inoltre le analisi vennero estese anche ad altre sostanze appartenenti alla stessa classe (cimaterolo, mabuterolo, salbutamolo...).

2.2.5. Piano Nazionale Residui 1992

Le numerose positività riscontrate nei primi anni di attuazione del PNR per sostanze inibenti (antibiotici), sulfamidici e beta-agonisti rappresentavano un preciso segnale di allarme riguardo l'uso dei farmaci in ambito veterinario, testimoniando altresì la necessità di intensificare l'azione di farmacovigilanza e di disciplinare adeguatamente la produzione e la commercializzazione dei vari principi attivi.
Fin dall'inizio degli anni sessanta, la diffusione della zootecnia intensiva aveva spinto i maggiori Paesi industrializzati a promulgare normative atte a garantire la salubrità delle derrate di origine animale relativamente alla presenza di farmaci. A questo scopo, in Italia con la già citata Legge n. 283 del 30 aprile 1962 il legislatore aveva sancito il principio dell'assenza totale di residui negli alimenti ("residuo zero").
All'articolo 5, infatti, la Legge n.283 ordinava che "è vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari:…. h) che contengano residui di prodotti, usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate, tossici per l'uomo."

Considerando che, in seguito all'enorme progresso tecnico-scientifico, era diventato possibile rilevare la presenza di concentrazioni analitiche sempre minori dell'ordine delle parti per miliardo (ppb), si rese necessario rivedere tale strategia. Si stabilirono, quindi, dei limiti massimi di residuo (LMR) per le sostanze farmacologicamente attive, affermando il più realistico concetto di "tolleranza residuale".
Ciò allo scopo, da un lato, di tutelare le produzioni zootecniche e, dall'altro, di commercializzare alimenti sostanzialmente sicuri sotto il profilo igienico-sanitario.

Venne, dunque, emanato un provvedimento di fondamentale importanza, il Regolamento n.2377, che entrò in vigore il 1° gennaio 1992: I limiti massimi di residui vennero stabiliti in base a principi generalmente riconosciuti di valutazione dell'innocuità, effettuate da organizzazioni internazionali quali il Codex Alimentarius o da altri comitati scientifici istituiti nella Comunità. Per limite massimo di residui (LMR) si intende "...la concentrazione massima di residui risultante dall'uso di un medicinale veterinario (espressa in mg/kg o mg/kg sulla base del peso vivo) che la Comunità può ammettere che sia consentita legalmente o riconosciuta accettabile negli o sugli alimenti. Esso è stabilito sulla base del tipo e del quantitativo del residuo considerato esente da rischi tossicologici per la salute umana secondo il criterio della dose giornaliera accettabile (DGA), o sulla base di una DGA temporanea che utilizzi un fattore di sicurezza supplementare. Tiene anche conto di altri rischi pertinenti per la pubblica sanità e di aspetti di tecnologia alimentare. Nello stabilire un limite massimo di residui (LMR) si tiene conto anche dei residui presenti negli alimenti di origine vegetale e/o provenienti dall'ambiente. Inoltre si può ridurre il LMR per renderlo conforme alle buone prassi nell'impiego dei medicinali veterinari, nella misura in cui sono disponibili metodi analitici pratici..."

Dal 1992, all'interno dell'Agenzia Europea per la Valutazione dei Prodotti Medicinali (EMEA), divenne attivo il CVMP (Commitee for Veterinary Medicinal Products), un apposito comitato con il compito di occuparsi delle valutazione dei farmaci veterinari e di stabilire gli appropriati LMR. Il risultato di tali valutazioni è progressivamente inserito nel Regolamento 2377/90/CEE che è quindi sottoposto ad un continuo aggiornamento.

Il Regolamento è composto da quattro allegati: I farmaci inseriti in Allegato IV non hanno quindi un LMR poiché non è possibile per essi stabilire una DGA (molecole cancerogene, mutagene o teratogene).
Relativamente al PNR 1991, la Comunità europea aveva riscontrato per il nostro paese una carenza, sia nel numero complessivo delle molecole ricercate (es. beta-agonisti, benzoimidazolici), sia nelle specie sottoposte a controllo per alcune molecole (es. equini ed ovini per inibenti e sulfamidici). Inoltre evidenziò la necessità di una classificazione più analitica di alcune categorie animali (vitelli e vitelloni invece di giovani bovini sotto i due anni) e una maggiore attenzione ai criteri statistici di programmazione dei controlli.
A fronte dei rilievi comunitari, nella programmazione 1992 vennero aumentati i campioni di DES nei bovini. Inoltre, si inserì il controllo di zeranolo, nandrolone e trenbolone anche nella specie suina.
Venne anche aumentato il numero di molecole di beta-agonisti ricercate e i campioni analizzati.
Nei primi anni novanta, infatti, questa classe di composti, autorizzati per la cura delle affezioni respiratorie di alcuni animali da reddito, ma ovviamente vietati per aumentare la produzione di tessuto muscolare, erano gli anabolizzanti più frequentemente riscontrati. Si pensi che durante il 1990 il clenbuterolo, la molecola beta-agonista più utilizzata, aveva causato ben 135 casi d'intossicazione in Spagna in persone che avevano consumato fegato di bovini illegalmente trattati. Successivamente casi di intossicazione si verificarono anche in Francia e in Italia. Il clenbuterolo si accumula nel fegato ed i suoi residui possono avere effetti fatali su persone con malattie cardiovascolari. Nel PNR 1992 si introdussero, quindi, nuovi metodi di analisi per rilevare, oltre al clenbuterolo, la presenza di altri beta-agonisti, quali il mabuterolo, il salbutamolo, la terbutalina e l'isoxsuprina.

Infine si inserì una ricerca più puntuale delle molecole di tranquillanti: i derivati della promazina e della xilazina nei bovini e quelli dell'azaperone nei suini.

2.2.6. Piano Nazionale Residui 1993

Con il PNR 1993 l'Italia aveva recepito con due decreti importanti Direttive europee, tra cui la 86/469/CEE. Si introduceva così anche una nuova regolamentazione per la produzione, la commercializzazione e l'uso dei farmaci in campo veterinario: Per ciò che riguarda il numero dei campioni e le sostanze da analizzare previste il Piano risultava praticamente invariato rispetto a quello dell'anno precedente.

2.2.7. Piano Nazionale Residui 1994

Il numero di campioni rimane praticamente invariato. Un'importante novità è rappresentata dall'introduzione e dall'estensione del monitoraggio anche al settore dei prodotti dell'acquacoltura, sottoponendo a controllo il 10% degli impianti, per un totale di 120 allevamenti da sottoporre a campionamento. Le sostanze, da ricercare in fegato e muscolo, per le specie appartenenti a tale settore erano: 2.2.8. Piano Nazionale Residui 1995

Si diminuiscono i campionamenti per DES, beta-estradiolo e si aumentano quelli per testosterone. Inoltre, con il Regolamento CEE n. 1430/94 il cloramfenicolo (CAF), un antibiotico ad ampio spettro molto utilizzato in medicina veterinaria, viene inserito in allegato IV del regolamento CEE n. 2377/90. Il Decreto Ministeriale del 6 settembre 1994 sospende di conseguenza le autorizzazioni all'immissione in commercio di tutti i medicinali veterinari (specialità medicinali, premiscele medicate, medicinali veterinari prefabbricati) contenenti CAF. A seguito di ciò, nel PNR 1995 si ridusse il numero dei campioni per la ricerca di CAF (da ca. 700 nel 1994 a 500 nel 1995).

Il problema maggiore relativamente alla presenza di residui negli animali è ancora costituito dai ?-agonisti; si passa perciò dai 2000 campioni del 1994 ai 4800 del 1995.

Altri importanti cambiamenti introdotti con il PNR 1995 è l'inserimento della ricerca di nuove sostanze: Nel PNR 1995 viene introdotto, inoltre, un ulteriore aumento del 10% dei controlli sugli impianti di acquacoltura, con particolare riguardo alla ricerca di residui di verde malachite per il quale l'Istituto Superiore di Sanità aveva espresso un parere sfavorevole data la sua attività cancerogena.
Infine, con questo Piano vengono inseriti controlli anche nel settore dei prodotti avicoli (polli da carne e tacchini).

2.2.9. Piano Nazionale Residui 1996

Poiché si era evidenziata la necessità di modificare, a livello nazionale, la strategia di controllo per migliorare l'operatività del PNR ed i collegamenti fra gli organismi centrali e locali, venne istituito a partire dal 1996 il Nucleo Operativo Regionale di Vigilanza (NORV). Con tale organismo si intendeva potenziare la capacità di intervento diretto delle Regioni, istituendo un nucleo di operatori a livello regionale/provinciale composto da personale della Regione stessa, delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), degli IZS che dovevano servire da collegamento e coordinamento con gli organi centrali dello Stato.
Una novità di particolare rilievo del PNR 1996 fu l'introduzione dei mangimi fra le matrici da prelevare in allevamento allorquando si effettuasse un campionamento per il controllo della presenza di furanici, cloramfenicolo, antiparassitari benzimidazolici, beta-agonisti e cortisonici. Per la ricerca dei cortisonici, infine, veniva indicata da quest'anno la matrice urina, invece di plasma o siero.

2.2.10. Piano Nazionale Residui 1997

A partire dal 1997 nella predisposizione del Piano Nazionale Residui si tenne conto di due fondamentali Direttive promulgate dal Consiglio durante il 1996: Le due Direttive furono recepite nell'ordinamento nazionale solo qualche anno più tardi con il Decreto Legislativo n. 336 del 4 agosto 1999 e sono alla base del PNR attuale: Con la 96/22/CE che superava le Direttive 81/602/CEE, 88/146/CEE e 88/299/CEE, l'Unione europea decise di mantenere il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica o tireostatica, estendendolo alle sostanze beta-agoniste.
Considerata, inoltre, la necessità che la Comunità europea fosse dotata di un sistema efficace ed uniforme di controlli e, contemporaneamente, data l'esigenza di rafforzare la sorveglianza ed i controlli dei singoli Stati membri sull'impiego di sostanze illecite, venne emanata la Direttiva 96/23/CE.
Tra le novità di questa Direttiva, è da segnalare che mentre in precedenza, solo nella fase di allevamento si avevano regole precise, concernenti i divieti di somministrazione di sostanze e prodotti vietati, gli obblighi di registrazione dei trattamenti farmacologici effettuati, nonché le dichiarazioni al momento di invio degli animali al macello, da questo momento in poi vengono coinvolti a pieno titolo, nel "problema residui", anche i responsabili degli stabilimenti di prima trasformazione, che devono adottare un piano aziendale di autocontrollo. Sugli stessi responsabili degli stabilimenti, infatti, ricade l'obbligo di commercializzare prodotti alimentari provenienti da animali non sottoposti a trattamenti illeciti e per i quali, in caso di somministrazione di medicinali veterinari ammessi, sia stato rispettato il tempo di sospensione previsto.

Nel Decreto 336/99 si sottolinea, in particolare dall'articolo 11 all'articolo 27, che i controlli devono essere effettuati lungo tutta la filiera produttiva. Sempre maggiore importanza, in questo quadro, assumono le procedure di autocontrollo che, partite dapprima nel settore dell'ispezione dei prodotti di origine animale (D.Lgs. n. 155/97), investono via via tutti i settori della zootecnia, allevamenti compresi.

Il Capo III del D.Lgs. n.336/99, sotto il titolo "Autocontrollo e corresponsabilità degli operatori" prevede, infatti, che gli allevatori aderiscano, per quanto di loro competenza, ai requisiti previsti dal piano di autocontrollo adottato dal responsabile dello stabilimento di macellazione e di prima trasformazione delle carni.
Tale piano di autocontrollo prevede, per legge, che l'allevatore debba fornire soltanto animali per i quali possa garantire l'avvenuto rispetto dei tempi di sospensione previsti nel caso di trattamenti farmacologici. Scopo evidente della norma è quello di responsabilizzare i produttori e tutti gli operatori del settore dell'allevamento rispetto alla qualità e all'innocuità dei prodotti di origine animale, favorendo i sistemi di autocontrollo attuati dalle associazioni di produttori che possono fornire un importante contributo alla lotta contro l'impiego illecito o scorretto di sostanze farmacologicamente attive.
In questo modo si avvia un sistema integrato atto, in ultima istanza, a fornire al consumatore garanzie sufficienti sull'alimento finale.
Con il PNR 1997 in Italia il Ministero effettuava già alcune modifiche previste nella Direttiva 96/23/CE, raggruppando le sostanze secondo la nuova classificazione (Tabella 2) e modificando la strategia dei controlli. Complessivamente rimaneva pressochè invariato il numero di analisi, sia a livello di macellazione che di allevamento.
La riclassificazione delle sostanze da ricercare è riportata in Tabella 2. Come si può osservare, nella Categoria A sono incluse le sostanze considerate fonte di gravi rischi per la salute pubblica e per le quali non è quindi possibile fissare un LMR, mentre nella Categoria B si collocano i farmaci veterinari con LMR e i contaminanti ambientali (metalli pesanti, micotossine, pesticidi etc.).

Tabella 2- Classificazione delle sostanze da ricercare come indicato nell'Allegato I della Direttiva 96/23/CEE
Categoria A - Sostanze ad effetto anabolizzante e sostanze non autorizzate:
categoria A, 1 stibeni, loro derivati e loro sali ed esteri
categoria A, 2 agenti antitiroidei
categoria A, 3 steroidi
categoria A, 4l attoni dell'acido resorcilico (compreso lo zeranolo)
categoria A, 5 beta-agonisti
categoria A, 6 sostanze incluse nell'allegato VI del regolamento (CEE) n. 2377/90 del Consiglio, del 26 giugno 1990
Categoria B - Farmaci veterinari (3) e contaminanti ambientali:
categoria B, 1 sostanze antibatteriche, compresi sulfamidici e chinoloni
Categoria B, 2 - altri prodotti medicinali veterinari:
B, 2a antielmintici
B, 2b coccidiostatici, compresi i nitroimidazoli
B, 2c carbammati e piretroidi
B, 2d tranquillanti
B, 2e antinfiammatori non steroidei (AINS)
B, 2f altre sostanze esercitanti un'attività farmacologia
Categoria B, 3 - altre sostanze e agenti contaminanti per l'ambiente:
B, 3a composti organoclorurati, compresi i PCB
B, 3b composti organofosforati
B, 3c elementi chimici
B, 3d micotossine
B, 3e coloranti
B, 3f altri


L'applicazione, seppur parziale, con la redazione del PNR 1997 della Direttiva 96/23/CE comportava anche un'estensione del campionamento ai conigli ed alla selvaggina allevata e, nel settore dei volatili da cortile, alle galline, alle anatre e alle oche. Nel PNR 1997 furono così incluse le specie animali: L'elenco completo dei settori produttivi da considerare nella redazione dei piani di controllo è riportato nell'Allegato II della Direttiva (Tabella 3). Per completare il quadro dei settori campionati successivamente l'Italia inserì le uova e il latte (1998) e il miele (1999).


Tabella 3 - Categoria di residui o di sostanze da ricercare a seconda del tipo di animali, loro alimenti e acqua di abbeveraggio e del tipo di prodotti animali di origine primaria come indicato nell'Allegato II della Direttiva 96/23/CEE
Tipo di animali Prodotti animali Animali delle specie bovina, ovina, caprina, suina ed equina Volatili da cortile Animali d'acqua coltura Latte UovaCarni di coniglio e di selvaggina selvatica Selvaggina da allevamento (*)Miele
Categoria di sostanze 
A, 1 X X X- - X -
A, 2 X X - - - X -
A, 3 X X X - - X -
A, 4 X X - - - X -
A, 5 X X - - - X -
A, 6 X X X X X X -
B, 1 X X X X X X X
B, 2a X X X X - X -
B, 2b X X - - X X -
B, 2c X X - - - X X
B, 2d X - - - - - -
B, 2e X X - X - X -
B, 2f - - - - - - -
B, 3a X X X X X X X
B, 3b X - - X - - X
B, 3c X X X X - X X
B, 3d X X X X - - -
B, 3e - - X - - - -
B, 3f - - - - - - -
(*) La selvaggina selvatica è interessata solo per quanto concerne gli elementi chimici


L'organizzazione del Piano, la sua predisposizione e attuazione sono frutto della collaborazione di varie Istituzioni con diversi e specifici ruoli e competenze. Si possono distinguere due livelli: La Direzione Generale della Sanità Veterinaria e degli Alimenti del Ministero della Salute, è responsabile del coordinamento di tutte le attività relative alla predisposizione e all'attuazione del PNR e rappresenta l'Autorità amministrativa competente nei confronti della Comunità europea.
Il Ministero della Sanità, aggiorna entro il 31 marzo di ogni anno, in base all'esperienza maturata negli anni precedenti e alle eventuali osservazioni della Commissione europea, il Piano per la ricerca delle categorie di residui o di sostanze, approvato dalla stessa Commissione. Il Ministero della Sanità, inoltre, informa ogni sei mesi la Commissione europea e gli altri Stati membri sull'esecuzione e sui risultati del Piano; l'esito dell'esecuzione del piano è pubblico.
Il ruolo di coordinamento degli aspetti tecnico-scientifici del PNR è sostenuto dall'Istituto Superiore di Sanità, in qualità di Laboratorio Nazionale di Riferimento per i residui.
In pratica, il Ministero della Salute, insieme al Laboratorio Nazionale di Riferimento e le Regioni, predispone il PNR, secondo la normativa europea e sulla base di eventuali specifiche richieste comunitarie, e lo dirama alle Regioni. Gli assessorati alla Sanità delle Regioni e delle Province Autonome ripartiscono i campioni tra le ASL del territorio, i cui Servizi Veterinari effettuano i prelievi.
I campioni raccolti vengono poi inviati ai laboratori degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali che effettuano le analisi.

Tutti i dati relativi ai campionamenti effettuati e ai risultati analitici ottenuti, vengono trasmessi dagli Assessorati regionali al Ministero della Salute, che li assembla per inoltrarli annualmente alla Commissione europea contestualmente alla programmazione per il nuovo anno.
Il PNR viene effettuato mediante l'analisi di campioni prelevati lungo tutta la filiera di produzione degli alimenti di origine animale ed interessa i diversi settori produttivi: bovino, suino, ovi-caprino, equino, avicolo, cunicolo, acquacoltura, selvaggina allevata, latte, uova e miele.
Dai risultati dei piani precedenti era emersa, inoltre, la necessità di una parziale modifica della strategia dei controlli e si stabilì che, indipendentemente dal luogo di raccolta dei campioni, il campionamento dovesse essere imprevisto, inatteso ed effettuato in momenti non fissi e durante qualsiasi giorno della settimana.
I tipi di campionamento previsti sia negli allevamenti (produzione primaria) che negli stabilimenti di prima trasformazione (macelli o i centri di raccolta del latte) sono tre: Per concludere, con le Direttive recepite dal Decreto n°336, da un lato diveniva di fondamentale importanza per i responsabili delle industrie alimentari documentare in modo puntuale la propria attività di autocontrollo. Dall'altro, per i Servizi Veterinari esisteva la necessità di inserire la propria azione nell'ambito della vigilanza veterinaria permanente, rafforzando la propria programmazione, che altro non è se non la razionalizzazione degli interventi per garantirne la massima efficacia predisponendo dettagliati piani per l'effettuazione delle ispezioni da condurre senza preavviso ai soggetti controllati.

2.2.11. Piano Nazionale Residui 1998

Introduzione di latte (300 controlli previsti) e uova (600 controlli previsti) come matrici su cui effettuare i controlli per le sostanze: 2.2.12. Piano Nazionale Residui 1999

Si introdusse la matrice miele con determinazioni analitiche che riguardavano le seguenti sostanze (farmaci e contaminanti ambientali): Inoltre si inserì la ricerca del cadmio negli equini (fegato e muscolo), limitatamente a quelle Regioni con la maggiore concentrazione di allevamenti.

2.2.13. Piano Nazionale Residui 2000

Nel giugno del 1999 un grave scandalo alimentare investì l'Unione europea. La contaminazione partì dal Belgio, dove si rilevarono concentrazioni di "diossina" in animali da allevamento 500 volte superiori a quelle che il WHO indica come "tollerabili" dall'organismo umano. Tali valori risultavano addirittura più alti di quelli riscontrati negli animali vissuti nelle regioni più contaminate del Vietnam dopo la guerra con gli Stati Uniti, ma comunque inferiori alle concentrazioni di Seveso dopo il disastro dell'Icmesa nel 1976.

In un primo momento, la responsabilità della contaminazione ricadde su di una fabbrica di mangimi fiamminga, la "Verkest", che aveva utilizzato grasso di scarto e carcasse di animali per produrre gli alimenti per animali.
Più tardi si fece strada il nome della "Fogra", società del sud del Belgio, che si occupava del riciclaggio di grassi animali e vegetali.
Il sospetto nacque dalla scoperta negli stabilimenti della "Fogra" di grassi animali con un alto livello di diossina e di policlorobifenili (PCB), responsabili della contaminazione dei mangimi della Verkest. Solo in Belgio, furono 554 gli allevamenti di polli e galline, più di 400 quelli di maiali e 150 quelli bovini che avevano nutrito i propri animali con gli alimenti inquinati.
Il Belgio comunicò all'Unione europea la notizia della contaminazione con circa un mese di ritardo. E subì danni enormi. Come per l'emergenza "mucca pazza", anche in questo caso sotto accusa furono le farine animali.
I titolari dell'impresa vennero accusati di avere venduto come "grassi animali" prodotti che non sarebbero stati al 100% di origine animale. Anzi, all'origine della contaminazione, vi sarebbero stati residui di olii minerali usati per lubrificare i motori delle automobili.
Subito dopo l'allarme si estese anche a suini, bovini e derivati, come per esempio il latte: 500 allevamenti vengono bloccati in Belgio. La contaminazione coinvolse soprattutto Olanda, Francia e Germania, e sfiorò anche l'Italia: in Piemonte venne disposto il sequestro di undici quintali di carne di pollo e uova provenienti dal Belgio.
A seguito di questo episodio si intensificarono e perfezionarono all'interno del PNR, i controlli relativi alle sostanze coinvolte nello scandalo. Si introdusse, così, la determinazione delle diossine (PCDD e PCDF), precedentemente non prevista, e il controllo dei policlorobifenili (PCB) fu perfezionato con l'indicazione esatta dei 7 congeneri che dovevano essere determinati (28, 52, 101, 118, 138, 153 e 180).
Ciò al fine di avere un quadro omogeneo di risultati per tutto il territorio nazionale.

Da segnalare che nel PNR 2000 furono previsti per la prima volta alcuni prelievi anche nel settore del latte ovino. Infine, su richiesta della Commissione europea, si introdussero dei nuovi controlli per i suini e la selvaggina allevata: 2.2.14. Piano Nazionale Residui 2001

In conformità alle norme comunitarie vennero aggiunte le seguenti ricerche: Inoltre, nel 2001, si introdussero prelievi anche sul latte di bufala limitatamente a quelle Regioni (Lazio e Campania), nelle quali è presente il 94% del patrimonio bufalino nazionale. Le ricerche indicate per questa matrice riguardavano le seguenti sostanze o classi di sostanze per un totale di 360 controlli programmati: 2.2.15. Piano Nazionale Residui 2002

Alla luce dell'attività svolta nell'anno 2001 ed in conformità alle norme comunitarie vennero inserite le seguenti ricerche di sostanze nel suino e nei volatili da cortile: Inoltre, limitatamente alle regioni Sardegna, Sicilia, Calabria e Basilicata, venne programmata la ricerca dei piretroidi nel latte ovino a seguito di focolai di Blue tongue (96 controlli programmati).

2.2.16. Piano Nazionale Residui 2003

Come novità, il piano prevedeva l'inserimento della ricerca del clenbuterolo mediante tecniche specifiche non multiresiduo per analisi svolte sui bovini, ovini, caprini ed equini, ed inoltre si inserì la ricerca dei metaboliti dei nitrofurani nel muscolo di varie specie animali.

Dal 1997 il PNR aveva smesso di contemplare la ricerca dei nitrofuranici nei tessuti, limitandosi ai soli mangimi.
Infatti, sebbene il controllo dell'utilizzo illegale di queste molecole comprese nell'allegato IV del Regolamento 2377/90 fosse un problema importante per la sicurezza alimentare, negli anni novanta alcuni studi avevano chiaramente dimostrato che i nitrofuranici come tali erano altamente instabili nei tessuti e che quindi il controllo per la presenza delle molecole originarie risultava pressoché inutile.
Tali studi avevano altresì dimostrato che la ricerca dei più stabili metaboliti poteva evidenziare efficacemente un trattamento, ma, in quel momento, la determinazione dei metaboliti in tracce non era un problema di facile soluzione da un punto di vista analitico.
Qualche anno dopo, nel gennaio 2000, un progetto finanziato dalla Commissione europea (FoodBRAND: Bound Residues and Nitrofurans Detection) si incaricò di mettere a punto metodi per la ricerca dei metaboliti marker per i quattro nitrofuranici: furazolidone - AOZ, furaltadone - AMOZ, nitrofurantoina - AHD e nitrofurazone - SEM.
Tale progetto rispondeva alla precisa esigenza di effettuare un controllo dell'abuso di questi farmaci, in considerazione anche del fatto che a questo punto il progresso della chimica analitica metteva a disposizione nuove tecniche strumentali, quali la cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa (LC-MS-MS) potenzialmente in grado di superare il problema. Si resero così disponibili metodi in grado di evidenziare la presenza dei quattro metaboliti nei tessuti a livelli inferiori di 1 µg/kg.
Come conseguenza, l'efficacia dei controlli, portò al riscontro di numerose positività in vari prodotti di origine animale (pesce e pollame) provenienti soprattutto dai paesi terzi (Tailandia, Brasile, India etc.).

2.2.17. Piano Nazionale Residui 2004

Le principali modifiche per il 2004 riguardano la ricerca di: 2.2.18. Piano Nazionale Residui 2005

Sulla base delle specifiche richieste della Commissione europea che aveva rilevato alcune carenze nel PNR dell'Italia, per il 2005 sono state aggiunte le seguenti ricerche: Inoltre, sono state apportate le seguenti modifiche: 2.2.19. Piano Nazionale Residui 2006

Le principali modifiche per il 2006 riguardano l'introduzione della ricerca di: In attesa di una definizione della materia a livello europeo, nel 2006 non sarà prevista la ricerca di nortosterone e di boldenone nell'urina suina. Anche la determinazione del cromo nella milza è stata eliminata.
In considerazione delle positività (non conformità) riscontrate negli anni precedenti, sono stati aumentati proporzionalmente il numero di campioni per la ricerca di boldenone, cortisonici, nortestosterone, clenbuterolo e altri beta-agonisti, metaboliti dei nitrofurani, cloramfenicolo, tetracicline, sulfamidici, nicarbazina, robenidina, ivermectina, tilosina, pesticidi organofosforati, aflatossine, verde malachite e metalli pesanti. La Commissione europea ha inoltre comunicato, visto il frequente riscontro di contaminazione da cadmio nei fegati equini di qualsiasi età ed origine, l'esclusione dal consumo umano sia del fegato che dei reni equini. Pertanto, nel PNR 2006, non è più previsto lo specifico piano di monitoraggio e la ricerca del cadmio è contemplata esclusivamente nel muscolo.

2.3. Conclusioni

Dopo aver analizzato la complessa nascita ed evoluzione del PNR, si può concludere che allo stato attuale, per quanto riguarda la complessa e articolata problematica dei residui negli animali vivi e nei prodotti di origine animale, il Piano Nazionale Residui rappresenta lo strumento scelto dal legislatore per assicurare l'attuazione dei controlli lungo la filiera in modo quanto più possibile omogeneo e coordinato fra le varie strutture quali le ASL, gli Enti Locali (Regioni e Province Autonome) e il Ministero della Salute.

Il PNR è impostato secondo il criterio della sorveglianza programmata nello spazio e nel tempo, con lo scopo di realizzare un sistema capace di fornire informazioni attendibili circa il rischio al quale i consumatori sono esposti per le varie categorie di residui (medicinali veterinari e contaminanti ambientali).

Il sistema, pur essendo realizzato su scala nazionale, ottempera a quelle che sono le disposizioni emanate in ambito europeo tramite provvedimenti che attuano una sorveglianza omogenea e programmata per tutti i Paesi membri dell'Unione.

Inoltre, la natura dinamica del PNR che con un meccanismo di "feedback" continuo, si evolve tenendo conto, sia dei problemi emersi nei piani precedenti, sia delle varie emergenze verificatesi nel corso degli anni, come dimostrato, solo per citare due degli esempi più eclatanti, dal caso dei beta-agonisti negli anni novanta o dei metaboliti dei nitrofuranici in epoca più recente, ne fanno uno strumento al passo con i tempi. Infine da sottolineare, in questo quadro, la sempre maggiore importanza assunta dalle procedure di autocontrollo delle filiere produttive che si stanno estendendo a tutti i settori zootecnici, allevamenti compresi.

3. LA RETE DEI LABORATORI EUROPEI

Come abbiamo visto, le politiche dell'Unione europea per la sicurezza alimentare sono indirizzate a migliorare e rendere coerente la complessa legislazione mediante una strategia integrata ed efficiente su tutta la filiera, dai sistemi di produzione primaria, ai processi di trasformazione, distribuzione, conservazione ed etichettatura dei prodotti alimentari, fino all'educazione sanitaria. Tali politiche sono riassunte nel noto slogan: "from farm to fork".
Ai fini del successo dell'azione comunitaria, assume un'importanza rilevante ed una valenza trasversale la disponibilità di sistemi analitici di controllo organizzati ed efficienti.
Infatti, la realizzazione dei piani europei per il controllo dei residui negli alimenti di origine animale per essere efficace deve assolutamente potersi basare su dati di laboratorio affidabili. In una società globalizzata, la qualità delle analisi chimiche prodotte è indispensabile per evitare di ripetere misure che richiedono tempo e denaro e che possono dare origine, molto di più che in passato, a controversie internazionali. Sebbene sembri un requisito ovvio, l'affidabilità dei risultati in un settore tanto complesso e articolato come quello dell'analisi di residui negli alimenti non è di facile realizzazione, specie se si tiene conto della numerosità dei laboratori coinvolti con risorse e professionalità di partenza molto diverse.

Di conseguenza, già dalla fine degli anni ottanta, l'Unione europea, parallelamente all'istituzione dei piani di controllo, dovette farsi carico anche di una indispensabile opera di miglioramento e di adeguamento progressivo dei propri laboratori. La strategia comunitaria si è via via evoluta fino a basarsi attualmente su tre punti fondamentali:
  1. organizzazione gerarchica dei laboratori strutturata in tre livelli: laboratori di riferimento comunitari (LCR), laboratori nazionali di riferimento (LNR) e laboratori di routine (LR); questi ultimi sono quelli incaricati dell'effettivo svolgimento delle determinazioni analitiche previste dai piani residui.
  2. Accreditamento dei laboratori secondo norme internazionali. Come si vedrà nei paragrafi successivi, una serie di disposizioni normative, hanno introdotto l'obbligo per i laboratori ufficiali di adeguarsi ai criteri della norma internazionale UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 (4) "Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura". La valutazione e il riconoscimento dei laboratori deve essere effettuata da Organismi operanti in conformità alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17011: 2005 (5).
  3. imposizione di requisiti minimi per i metodi analitici adottati. Poiché la conformità alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 è un requisito di tipo generale atto a garantire un'organizzazione complessiva dei laboratori secondo sistemi che operano in Qualità, la Commissione europea ha progressivamente emanato provvedimenti legislativi più specifici che entrano nel dettaglio delle performances minime che devono possedere i metodi utilizzati per le diverse sostanze o gruppi di sostanze (residui di farmaci veterinari, metalli pesanti, micotossine, etc.).


3.1. L'organizzazione dei laboratori europei

All'articolo 8 la Direttiva CEE 86/469 stabiliva che i laboratori nazionali di riferimento, designati in conformità dell'articolo 4 della Direttiva 64/433/CEE, coordinassero le norme e i metodi di analisi relativi a ciascun residuo o gruppo di residui e provedessero all'organizzazione di circuiti interlaboratorio periodici per i laboratori riconosciuti. Inoltre, sempre nella Direttiva 86/469, il Consiglio d'Europa s'incaricava di designare per ogni residuo o gruppo di residui, scegliendolo tra i vari laboratori di riferimento nazionale, un laboratorio comunitario che doveva fungere da collegamento tra i diversi LNR, stabilendone le competenze e le condizioni di funzionamento. I laboratori comunitari, inoltre, venivano incaricati di coordinare il sistema dei controlli.
Su queste basi, all'inizio degli anni novanta, l'Unione Europea istituì il sistema attuale designando quattro laboratori comunitari di riferimento (LCR) per i residui: Successivamente, con la Direttiva 96/23/CE, il Consiglio dell'Unione confermò i quattro laboratori comunitari incaricati e ne aggiornò i poteri e le condizioni di funzionamento così come li conosciamo oggi. Inoltre era confermata la necessità di garantire un efficace ed uniforme sistema di controllo all'interno dell'Unione Europea, per quanto attiene ai residui nelle matrici di origine animale, attraverso una struttura gerarchica organizzata in:

gerarchia laboratori


Lo scopo ultimo di tale sistema è la salvaguardia della salute dei consumatori mediante la messa a punto di strumenti operativi che garantiscano la qualità delle determinazioni analitiche, ottimizzando e sorvegliando l'affidabilità dei laboratori stessi. I quattro LCR, assegnati a Germania, Francia, Italia ed Olanda, condividono lo stesso mandato generale attribuito loro dalla Direttiva 96/23/CE, pur essendo ciascuno direttamente responsabile per le categorie di residui assegnate. Le categorie di residui di spettanza sono riportate in Tabella 4.

Tabella 4 - I laboratori comunitari di riferimento (6)
LCR
Gruppo(A)
Sostanze
Rijksinstituut voor de Volksgezondheid en Milieu (RIVM) Bilthoven (Olanda) A1 Stilbene e suoi derivati compresi i loro sali ed esteri
A2 Agenti antitiroidei
A3 Steroidi
A4 lattoni dell'acido resorcilico (compreso lo zeranolo)
B 2 (d) Tranquillanti
B 3 (d) Micotossine
Agence Française de Sécurité Sanitaire des Aliments (AFSSA) Fougères (Francia)(B) B1 Sostanze antibatteriche compresi i sulfamidici e i chinoloni
B3 (e) Coloranti
Bundesinstitut für gesundheitlichen Verbraucherschutz und Veterinärmedizin (BgVV)Berlino (Germania) A5 beta-agonisti
B 2 (a) Antielmintici
B 2 (b) Coccidiostatici compresi i nitroimidazoli
B 2 (e) antinfiammatori non steroidei
Istituto Superiore di Sanità (ISS) Roma (Italia) B 2 (c) Carbammati e piretroidi
B 3 (a) Sostanze organoclorurate (compresi i policlorobifenili, le policlorodibenzo-p-diossine ed i policlorodibenzofurani)
B 3 (b) Composti organofosforati
B 3 (c)               Elementi chimici
(A) Secondo la classificazione dell'Allegato I della Direttiva 96/23/CE;
(B) Al LCR di Fougères competono anche i residui di Carbodox e Olaquindox


I compiti dei Laboratori Comunitari di Riferimento e dei Laboratori Nazionali di Riferimento sono di seguito elencati:

Compiti dei LCR (7)Compiti dei LNR (8)
1. promuovere e coordinare la ricerca di nuovi metodi di analisi ed informare i laboratori nazionali di riferimento (LNR) circa i progressi compiuti nel settore dei metodi e dei materiali di analisi 1. coordinare le attività dei laboratori nazionali abitualmente incaricati delle analisi dei residui ed, in particolare, di coordinare le norme ed i metodi d'analisi per ciascun residuo o gruppo di residui loro assegnati
2. assistere i laboratori nazionali di riferimento per i residui al fine di porre in essere un sistema adeguato di garanzia della qualità basato sui principi di buona prassi di laboratorio (GPL) e sui criteri EN 45000 2. assistere l'autorità competente nell'organizzazio-ne del piano nazionale residui (PNR)
3. approvare i metodi convalidati come metodi di riferimento da inserire in una apposita raccolta 3. organizzare periodicamente prove comparative per ciascun residuo o gruppo di residui per i quali essi sono stati designati
4. fornire ai laboratori nazionali di riferimento i metodi analitici di routine riconosciuti durante la procedura di fissazione di limiti massimi di residui 4. garantire l'osservanza, da parte dei laboratori nazionali, dei limiti fissati
5. fornire agli LNR i dettagli dei metodi analitici e le prove comparative da effettuare e comunicare loro i risultati di queste ultime 5. garantire la diffusione delle informazioni fornite dai laboratori comunitari di riferimento
6. fornire ai laboratori nazionali, che ne fanno richiesta, un parere tecnico sulle analisi delle sostanze per le quali sono stati designati come LCR 6. assicurare al personale la possibilità di partecipare ai corsi di perfezionamento organizzati dalla Commissione o dai laboratori comunitari di riferimento
7. organizzare esercizi interlaboratorio a beneficio degli LNR, con una frequenza determinata d'intesa con la CE. Ai fini di tali prove, gli LCR devono distribuire agli LNR campioni privi di analiti (i cosiddetti bianchi-campione) e campioni contenenti quantità note della sostanza da analizzare
8. identificare e la quantificare i residui nel caso in cui un risultato d'analisi dia luogo a contestazione tra due stati membri o tra UE ed un paese terzo
9. organizzare corsi di formazione e perfezionamento per gli esperti dei laboratori nazionali
10. apportare assistenza tecnica e scientifica alla Commissione, ivi incluso il programma delle norme, misure e prove
11. collaborare nel settore dei metodi e dei materiali d'analisi con gli LNR designati dai paesi terzi nel quadro dei piani di sorveglianza che devono essere presentati conformemente all'articolo 11 della Direttiva 96/23/CEE


I LCR sono coinvolti analiticamente nel caso in cui si renda necessario procedere all'analisi durante una controversia tra due Stati membri o tra uno Stato membro e un paese terzo (punto 8).
Per poter svolgere i compiti assegnati, i Laboratori Comunitari di Riferimento devono soddisfare dei requisiti, ovvero essere stati in precedenza designati come LNR in uno Stato membro e disporre di personale qualificato con una conoscenza approfondita delle tecniche applicate alla determinazione dei residui di competenza.
Inoltre, devono possedere una adeguata dotazione strumentale nonché i materiali necessari per effettuare le analisi di cui sono stati incaricati. I laboratori si devono servire di strumenti informatici adeguati per eseguire il trattamento statistico dei risultati ed essere in grado di comunicare rapidamente tali dati e altre informazioni agli LNR e all'Unione europea.

Strettamente interconnessi con i LCR sono i Laboratori Nazionali di Riferimento. Secondo la Direttiva 96/23/CE, ogni Stato membro deve designare un solo LNR per ciascun residuo o gruppo di residui. L'Italia ha un unico LNR responsabile complessivamente per tutti i gruppi di residui che ha sede presso l'Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Passando all'ultimo livello del sistema dei laboratori ufficiali europei, come abbiamo visto, nel nostro paese i laboratori di routine incaricati di svolgere le determinazioni analitiche dei residui negli alimenti di origine animale sono quelli degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS).
Gli IIZZSS hanno molteplici funzioni, rappresentando lo strumento tecnico ed operativo del Servizio Sanitario Nazionale per quanto concerne il controllo della sanità animale, la qualità degli alimenti di origine animale, l'igiene degli allevamenti ed il corretto rapporto tra insediamenti umani, animali ed ambiente.
Essi sono organizzati in una rete capillarmente estesa sull'intero territorio nazionale formata da 10 sedi centrali e da 90 Sezioni diagnostiche, presenti in quasi tutte le province italiane.

3.2. L'accreditamento dei laboratori

3.2.1. I Sistemi di Qualità

Nei Paesi industrializzati oltre il 10% del Prodotto interno lordo è costituito da prove, analisi, misurazioni finalizzate alla ricerca, alla diagnostica e alla valutazione della conformità a specifiche (di legge o del committente). Queste attività hanno grande influenza sul progresso scientifico, sulla competitività del sistema economico, sulla tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente.
Nell'ambito delle azioni finalizzate alla tutela della sicurezza dei prodotti alimentari, individuata nel "Libro bianco sulla sicurezza alimentare" (2000) come priorità strategica fondamentale dell'Unione europea, non stupisce allora come un compito fondamentale sia attribuito ai laboratori preposti al controllo ufficiale e all'autocontrollo degli alimenti. Essi, in sostanza, sono chiamati a soddisfare specifici criteri volti a dimostrare, tramite l'adozione di Sistemi di Qualità, la propria competenza tecnica e la produzione di risultati tecnicamente validi ed affidabili.
Per Sistema Qualità si intende "la struttura organizzativa, le responsabilità, le procedure e le risorse applicate per la conduzione aziendale, in grado si garantire una qualità programmata".
La qualità può essere definita come l'insieme delle caratteristiche di un'entità (prodotti, processi e servizi), che ne determinano la capacità di soddisfare esigenze espresse ed implicite. Si comprende, quindi, come l'applicazione di Sistemi di Qualità, cioè di procedure oggettive in grado di dare garanzie trasparenti sui prodotti finali, si adatti perfettamente alle strutture che fanno misurazioni analitiche, ovvero i laboratori.
Un aspetto chiave dell'affidabilità o validità dei risultati è che essi siano confrontabili. La confrontabilità dei risultati è ottenibile attraverso la riferibilità ad appropriati standard accettati in campo internazionale (rintracciabilità). Un laboratorio si trova alla fine di una catena di rintracciabilità e, perciò, per produrre dati confrontabili esso deve essere in grado di fare affidamento su tutti i riferimenti necessari per il processo di misura, nonché sulla validazione dei metodi utilizzati.
L'importanza della rintracciabilità dell'informazione sperimentale è tema attualmente centrale a qualunque Sistema di Qualità. I criteri generali per il funzionamento dei laboratori di prova che operano in "Qualità" sono attualmente stabiliti nella norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 che specifica i requisiti generali che devono essere soddisfatti dai Laboratori di Prova e Taratura che intendano dimostrare di attuare un Sistema di Qualità.

Infatti, affinché i risultati delle misurazioni possano essere accettati come validi dalle parti interessate, l'affidabilità delle misurazioni analitiche deve essere valutata su basi rigorose.
Allo scopo di facilitare l'accettazione su scala internazionale dei risultati, gli Enti ed i Laboratori di Prova e Taratura devono adottare riferimenti di misura concordati allo stesso livello, dimostrando sostanzialmente la conformità alla medesima norma internazionale.

I requisiti della ISO/IEC 17025 riguardano: Uno dei concetti base specificati dalla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025, relativo ai requisiti di competenza tecnica per i tipi di prove e/o tarature eseguite dal laboratorio, è l'uso di metodi sottoposti a validazione e la stima dell'incertezza di misura.
Il processo di validazione deve essere preceduto dalla definizione dei parametri di performance del metodo (limiti analitici, accuratezza, precisione, esattezza etc.) e dei relativi valori di accettabilità, che costituiscono i criteri per la valutazione del metodo. In particolare, i criteri devono essere stabiliti sulla base delle eventuali disposizioni legislative e/o delle esigenze specifiche dell'analisi fissate, ad esempio, dal committente (cliente).

Con il termine validazione si intende: "la conferma, sostenuta da evidenze oggettive, che i requisiti relativi ad una specifica utilizzazione o applicazione prevista sono stati soddisfatti" (UNI EN ISO 9000: 2000).

La definizione di validazione, quindi, è applicabile a qualsiasi processo che dovrebbe essere: Il processo di validazione ha l'obiettivo di dimostrare la validità di una procedura analitica, mediante la valutazione di tutti quei parametri di qualità (tecnici e/o statistici) utili allo scopo. La scelta dei parametri da verificare è strettamente connessa alle caratteristiche del metodo che potrà essere: normalizzato con o senza parametri statistici riportati, normalizzato modificato, interno ma usato diffusamente e verificato con prove inter- e/o intralaboratorio. In generale, allorquando si utilizzino metodi normalizzati di riferimento il lavoro di validazione può risultare semplificato.

I principali parametri di prestazione sono: Il numero e il tipo di parametri che devono essere obbligatoriamente valutati dipende anche dallo scopo del metodo in validazione (Tabella 5).
Le prove di identificazione, ad esempio, che sono saggi qualitativi finalizzati a stabilire la presenza di un dato componente in un dato materiale o prodotto mediante reazioni specifiche di riconoscimento, essendo prove di carattere squisitamente qualitativo, non necessitano generalmente della determinazione della precisione e dell'esattezza, così come per i metodi per la determinazione dei componenti principali (proteine nella carne, grassi nei formaggi...) non ha interesse la stima del LOD.
I metodi per la determinazione di residui (componenti minori), invece, essendo procedure complesse di tipo quantitativo adatte ad evidenziare sostanze presenti in tracce, devono essere sottoposte ad una validazione completa (Tabella 5).

Tabella 5 - Parametri da determinare nella validazione di un metodo in funzione del suo scopo
Tipo di metodo
Parametri di Prestazione
Prove di identificazione Determinazione di componenti principali Determinazione di componenti minori
Esattezza/recupero - + +
Precisione - + +
Specificità + + +
Limite di rivelabilità - - +
Limite di quantificazione - - +
Taratura - + +
Campo di applicazione - + +
Robustezza + + +
Il segno "meno" significa che il parametro normalmente non viene stimato, mentre il segno "più" indica che il parametro normalmente viene stimato


La validazione dei metodi coinvolge due aspetti della qualità analitica: la qualità metrologica e la competenza del personale che opera in laboratorio.
Qualunque sia il metodo utilizzato, infatti, un ruolo chiave è giocato dalla qualità metrologica. I materiali di riferimento certificati (CRM) sono alla base della rintracciabilità e della confrontabilità delle misure. Il loro utilizzo è fondamentale per lo sviluppo e la validazione di un metodo analitico, in particolare per la valutazione dell'esattezza e per la taratura delle apparecchiature.
La competenza del personale deve essere garantita per tutti coloro che sono qualificati ad eseguire metodi di prova, campionamenti, utilizzare apparecchiature specifiche (gascromatografi, cromatografi liquidi, spettrometri ecc.) ed effettuare tarature. Il personale dovrà essere formato, addestrato e qualificato. Il mantenimento della qualifica deve essere verificato nel tempo.

La verifica complessiva e continua che l'operatività del laboratorio è conforme ai parametri ottenuti durante la validazione del metodo avviene attraverso i controlli di qualità (QC) che possono essere interni ed esterni: La norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025, inoltre, stabilisce che i rapporti di prova debbano includere, quando necessario per l'interpretazione dei risultati e quando applicabile, una dichiarazione circa l'incertezza di misura.
La confrontabilità dei risultati analitici è fornita dalla stima dell'incertezza che assume, quindi, particolare rilevanza in misurazioni di tipo chimico, soprattutto allorquando tali misure possono dare origine ad azioni legali e/o contenziosi internazionali.
L'incertezza è definita come il "parametro associato con il risultato di una misura che caratterizza la dispersione dei valori che potrebbero ragionevolmente essere attribuiti al misurando".

Secondo la UNI CEI EN ISO/IEC 17025 è necessario riportare l'incertezza di misura stimata nel rapporto di prova nel caso in cui: Per stimare l'incertezza esistono diversi tipi di approcci, tra i quali i più noti sono: La validazione dei metodi e, soprattutto, l'incertezza di misura sono argomenti trasversali a tutto il mondo tecnico-scientifico: la qualità di una misura e, quindi, il relativo risultato si basano sulla validità del metodo utilizzato e sul grado di definizione del risultato stesso. In sostanza un "risultato" è ciò che si ottiene con metodi validi e reso "certo" dalla conoscenza dell'incertezza ad esso associata.
Per esprimere il risultato corredato della propria incertezza è necessario conoscere in quale rapporto sta l'incertezza con i parametri di precisione ed esattezza, determinati durante il processo di validazione.

Va sottolineato che entrambi gli aspetti, ovvero la validazione dei metodi di prova e la corretta gestione delle incertezze, rivestono una particolare criticità nei settori delle analisi chimiche dei residui in relazione a vari fattori fra cui la complessità dei metodi utilizzati, la quasi totale mancanza di metodi normati (ufficiali e standardizzati), la sofisticazione della strumentazione impiegata, la delicatezza dei processi di gestione e preparazione dei campioni, la variabilità introdotta da una serie di effetti secondari (effetti matrice, effetti residuali ecc.) e molti altri.
In sostanza, un'analisi costituisce la sintesi di una progettazione specifica che parte da un obiettivo chiaro e da risultati attesi. Tale progettazione, tramite un processo complesso di cui la validazione non è che il passaggio conclusivo, porta ad un prodotto che si esprime con un dato finale che ha significato solo se corredato da un'incertezza associata.
In questi anni la sensibilità sviluppata dai laboratori ha portato ad una sempre maggior conoscenza di questi argomenti, grazie alla sintesi di esperienze, elaborazioni e competenze e, se da un lato i laboratori pubblici sono ormai obbligati alla validazione secondo norme internazionali dei propri metodi e ad esprimere i propri risultati con l'incertezza associata, dall'altro, i laboratori privati devono giocoforza essere in grado di confrontarsi con i laboratori ufficiali, fornendo risultati di qualità analoga.

3.2.2. I Sistemi di Qualità e il controllo ufficiale

Parallelamente all'istituzione dei Piani Nazionali, l'Unione europea iniziava un'intensa attività legislativa riguardante i criteri di qualità che dovevano adottare i laboratori incaricati dello svolgimento delle analisi dei residui a livello comunitario. Attraverso la Direttiva: Si introdussero importanti disposizioni riguardo alla necessità di un controllo pubblico dei prodotti alimentari. La Direttiva prevedeva: Come descritto nel capitolo precedente, per garantire la qualità del dato analitico era necessario introdurre un sistema di norme per i laboratori ufficiali dei vari Stati membri. Tale sistema doveva essere basato su norme approvate e standardizzate, ed i laboratori incaricati dovevano lavorare secondo metodi di analisi convalidati.

Perciò venne successivamente emanata: Con questa Direttiva si completavano in sostanza le disposizioni già riportate nella 89/397/CEE. Nelle sue premesse essa ribadisce, quale preoccupazione prioritaria del Consiglio, la necessità di introdurre un sistema di norme di qualità per i laboratori incaricati dagli Stati membri di effettuare il controllo ufficiale delle derrate alimentari; tale sistema doveva essere basato su norme generalmente approvate e standardizzate. Inoltre i laboratori erano tenuti, ove possibile, a impiegare metodi analitici convalidati. In particolare nella Direttiva si fissavano: Ogni Stato membro, dal 1° novembre 1998, era in sostanza obbligato a prendere i provvedimenti necessari affinché: In Italia nel novembre 1998 solo alcune strutture operavano in conformità alla norma EN 45001 o erano in attesa di ricevere gli audit (verifiche ispettive) da parte dell'unico organismo operante sul territorio nazionale in conformità alla UNI CEI EN 45003: il SINAL (Sistema Nazionale per l'Accreditamento dei Laboratori di prova).

Nel frattempo, con la Direttiva 96/23/CEE, si rese necessario migliorare l'efficacia dei piani di sorveglianza messi in opera ogni anno degli Stati membri, assicurare la comparabilità dei risultati ottenuti ed armonizzare le modalità di applicazione per il campionamento.

A tal fine venne emanata la Decisione 98/179/CE: Questa Decisione, all'articolo 1, stabiliva che le analisi dei campioni dovevano essere effettuate esclusivamente presso laboratori per il controllo ufficiale dei residui riconosciuti dall'autorità competente, ribadendo la necessità di assicurare la qualità e la comparabilità dei risultati analitici.
I laboratori autorizzati erano, quindi, tenuti a partecipare a un programma esterno, riconosciuto sul piano internazionale, di valutazione qualitativa e di accreditamento.
Tale obiettivo doveva essere conseguito attraverso l'accreditamento (da ottenersi prima del 1° gennaio 2002) e la partecipazione degli stessi a circuiti interlaboratorio (proficiency testing schemes), organizzati dai LNR o dai LCR.

3.3. I requisiti minimi dei metodi di analisi

Con la Decisione 98/179/CE si richiedeva dunque che, a partire dal 2002, i laboratori per il controllo ufficiale dovessero essere accreditati secondo la UNI CEI EN ISO/IEC 17025.
Parallelamente allo svilupparsi dei Sistemi di Qualità, la UE emanava provvedimenti più specifici atti a garantire il rispetto di alcuni requisiti minimi. Infatti, la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 è di tipo orizzontale e, quindi, piuttosto generica, non essendo indirizzata ad un settore analitico in particolare. Da questa considerazione, si sviluppa dunque il terzo punto della strategia dell'Unione europea che richiede ai propri laboratori ufficiali ulteriori requisiti di qualità, considerando l'ambito analitico nei quali questi operano, ovvero la ricerca di sostanze in tracce (residui).

Prima del 1993, i criteri analitici da applicare ai metodi di riferimento erano riportati nella Decisione: Dal 1993 entrarono poi in vigore: Nelle previsioni queste due Decisioni avrebbero dovuto essere riviste entro il 1996. Quindi, nel 1995 la Commissione europea, in collaborazione con i quattro laboratori di riferimento comunitari, dava inizio a un lavoro di revisione tecnico-legislativo delle Decisioni 93/256/CEE e 93/257/CEE, proprio con il compito di superare i limiti evidenziati dalla normativa vigente, soprattutto alla luce dei progressi più recenti della chimica analitica. A causa della natura complessa dell'opera di revisione e delle istanze di partecipazione dei laboratori nazionali di riferimento, nel 1998 la Commissione designava un gruppo di lavoro ad hoc con il compito di delineare e revisionare i criteri relativi alla validazione dei metodi e all'interpretazione dei risultati.
Questa attività portò finalmente alla pubblicazione nel 2002 della Decisione 2002/657/CE (13): La 2002/657/CE abroga sia la Decisione 93/256/CEE che la 93/257/CEE e, all'articolo 5, ribadisce che: "Gli Stati membri garantiscono la qualità dei risultati delle analisi dei campioni prelevati a norma della Direttiva 96/23/CE, in particolare attraverso la sorveglianza delle analisi e/o la calibrazione dei risultati in ossequio al capitolo 5.9 della ISO 17025".
La 2002/657/CE si configura come un provvedimento completo e complesso, che ha dato adito ad alcune critiche e a diverse interpretazioni, ma che comunque rappresenta ormai un punto di riferimento sia per i laboratori ufficiali che non, all'interno dell'Unione e anche al di fuori dei suoi confini.
Infatti, oltre a indicare i parametri di prestazione che devono essere determinati e i loro limiti di accettabilità, essa descrive anche il piano sperimentale per ottenerli. Indica, inoltre, i criteri da seguire nell'interpretazione dei risultati, modulando le prescrizioni anche in funzione della categoria delle sostanze analizzate (A o B).

Un aspetto importante affrontato dalla Decisione, è quello relativo ai limiti analitici che devono essere raggiunti dai metodi di prova impiegati nel controllo ufficiale.
Infatti, se per i farmaci veterinari permessi esiste una concentrazione di riferimento nei vari prodotti di origine animale rappresentata dall'LMR (14), per le sostanze senza LMR (non permesse), si poneva da tempo un delicato problema di armonizzazione del livello di controllo tra i vari laboratori ufficiali della UE.
Infatti, si verificava il caso che lo stesso prodotto poteva essere giudicato "conforme" (negativo) o "non conforme" (positivo) a seconda del laboratorio che aveva eseguito il controllo. In altri termini, un laboratorio che adottava una procedura analitica con un limite di rilevazione molto basso poteva individuare la presenza di una molecola vietata e dichiarare l'alimento "non conforme", mentre un altro laboratorio che utilizzava una metodo con un limite più elevato poteva "non vedere" la sostanza e dichiare quindi lo stesso prodotto "conforme".

Per ovviare a tutto ciò, la Decisione 2002/657/CEE introduce il concetto di "limite minimo di rendimento richiesto" (LMRR).
Il LMRR "è il contenuto minimo di analita in un campione che deve essere rilevato e confermato. Tale limite è volto proprio ad armonizzare il rendimento analitico dei metodi per le sostanze per le quali non è stato stabilito un limite consentito" (vietate o non autorizzate) e dovrebbe essere stabilito per tutte le molecole e le matrici di interesse previste nei piani nazionali di controllo dei residui in accordo con quanto prescritto dalla Direttiva 96/23/CE, al fine di garantire un'attuazione armonizzata di tale Direttiva.

La Decisione supera, infine, la precedente distinzione tra i metodi di routine e di riferimento, distinzione riportata nella stessa Direttiva 96/23/CE (art. 15), lasciando solo la differenziazione tra metodi di screening e di conferma. I metodi di screening sono usati per determinare la presenza di un analita o di una classe di analiti al di sopra o al di sotto del livello di interesse (MRL, MRPL etc..). Sono caratterizzati dalla capacità di analizzare un gran numero di campioni allo scopo di individuare quelli sospetti da processare, successivamente, con un metodo di conferma. Sono quindi sostanzialmente concepiti per evitare campioni falsi negativi (falsi conformi).
I metodi di conferma, invece, devono fornire informazioni definitive per l'identificazione, e, se necessario, per il dosaggio dell'analita al livello d'interesse.
Proprio per garantire questo, al contrario dello screening per cui non esistono prescrizioni particolari, la Decisione stabilisce che per un esame di conferma possano essere utilizzate solo certe tecniche strumentali.

Accanto alla 2002/657/CE sono state via via emanate, per particolari sostanze o gruppi di sostanze appartenenti generalmente ai contaminanti ambientali, una serie di Direttive che vanno sempre nella direzione dei requisiti minimi di qualità.

Tra queste: Esse stabiliscono prescrizioni per: Infatti, se la 2002/657/CE è un provvedimento che riguarda tutte le classi di residui (farmaci veterinari e contaminanti ambientali) da determinare negli animali vivi e nei loro prodotti, la Commissione ha ritenuto di dover indicare criteri ad hoc per certi analiti. D'altra parte, all'articolo 1 della 2002/657/CE si precisa che "la presente decisione non si applica alle sostanze per le quali siano state stabilite norme più particolari in altra legislazione comunitaria".
Con i provvedimenti di cui sopra, l'obiettivo della Commissione è stato quello di garantire l'adozione di procedure analitiche con performances prestabilite.
La filosofia perseguita dall'Unione europea si configura, quindi, come molto flessibile dal punto di vista delle scelte di ciascun laboratorio, ma estremamente rigida sui criteri minimi di qualità da rispettare affinché un metodo di prova sia da considerarsi adeguato allo scopo.

Tutto ciò si è reso necessario poiché, d'altra parte, l'utilizzo di metodi standardizzati ufficialmente riconosciuti (di riferimento) che costituirebbe di per sé una delle garanzie di confrontabilità del dato analitico, si era dimostrata una strada inadatta proprio in virtù del continuo progresso tecnico-scientifico di questo particolare settore della chimica analitica. Anche se molta strada rimane ancora da percorrere, anche nell'armonizzazione e semplificazione della legislazione tecnica riguardante gli obblighi dei laboratori, l'impegnativa strategia comunitaria ha comunque fatto registrare imponenti miglioramenti. A dimostrazione di ciò, un esempio per tutti è rappresentato dall'abbassamento dei livelli medi di controllo per le sostanze vietate di oltre un ordine di grandezza dall'istituzione dei piani nazionali (1988) ad oggi.

4. BIBLIOGRAFIA

4.1. Bibliografia Scientifica

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- Gallhoff G. "The European Union's Regulatory Framework on Veterinary Medicinal Products. Working papers of the Technical workshop on residues of veterinary drugs without ADI/MRL", 24 - 26 August 2004, Bangkok, Thailand.

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4.2. Bibliografia Giuridica

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- Dir. 64/433/CEE del 26-06-1964. Direttiva del Consiglio relativa alle condizioni sanitarie per la produzione e l'immissione sul mercato di carni fresche. G.U.C.E. 29 luglio 1964, n. L 121. Entrata in vigore il 30 giugno 1964.

- D.M. 15-01-1969. Divieto per gli allevatori di detenere o somministrare agli animali sostanze ad azione ormonale ed antiormonale. G.U. 20 gennaio 1969, n. 16.

- L. 23-12-1978, n. 833. Istituzione del servizio sanitario nazionale. G.U. 28 dicembre 1978, n. 360, S.O.

- Dir. 81/602/CEE del 31-07-1981. Direttiva del Consiglio concernente il divieto di talune sostanze ad azione ormonica e delle sostanze ad azione tireostatica. G.U.C.E. 7 agosto 1981, n. L 222.

- D.M. 03-11-1981. Divieto di vendita dei medicinali per uso veterinario contenenti sostanze stilbeniche, loro derivati, sali ed esteri e sostanze tireostatiche. G.U. 14 novembre 1981, n. 314.

- O.M. 06-06-1985. Quantità massime di residui delle sostanze attive dei presidi sanitari tollerate nei prodotti destinati all'alimentazione. G.U. 23 ottobre 1985, n. 250, S.O. Atto di recepimento della Direttiva 86/362/CEE e della Direttiva 86/363/CEE.

- Dir. 86/469/CEE del 16-09-1986. Direttiva del Consiglio relativa alla ricerca di residui negli animali e nelle carni fresche. G.U.C.E. 26 settembre 1986, n. L 275.

- Circolare del Ministero della sanità n. 12 dell'8 febbraio 1988. Piani per il controllo dei residui di sostanze ormonali anabolizzanti ed antiormonali negli animali e nelle carni in attuazione della Direttiva n. 86/469/CEE del 16 settembre 1986.

- Dec. 88/199/CEE del 18-02-1988. Decisione della Commissione recante approvazione del piano di ricerca dei residui di ormoni presentato dall'Italia. G.U.C.E. 12 aprile 1988, n. 94. Entrata in vigore il 19 febbraio 1988.

- Dir. 88/146/CEE del 07-03-1988. Direttiva del Consiglio concernente il divieto dell'utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica nelle produzioni animali. G.U.C.E. 6 marzo 1988, n. L 70. Entrata in vigore il 14 marzo 1988.

- Circolare del Ministero della sanità n. 6 del 13 aprile 1989 relativa alle modificazioni ed integrazioni alla circolare n. 12 dell'8 febbraio 1988 concernente i "Piani per il controllo dei residui di sostanze ormonali anabolizzanti ed antiormonali negli animali e nelle carni- Direttiva 86/469/CEE".

- Circolare n. 14 del 30 maggio 1989. - Piano nazionale per la ricerca dei residui di farmaci e contaminanti ambientali nelle carni.

- Dir. 89/397/CEE del 14-06-1989. Direttiva del Consiglio relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. G.U.C.E. 30 giugno 1989, n. L 186. Entrata in vigore il 20 giugno 1989.

- Reg. (CEE) n. 2377/90 del 26-06-1990. Regolamento del Consiglio che definisce una procedura comunitaria per la determinazione dei limiti massimi di residui di medicinali veterinari negli alimenti di origine animale. G.U.C.E. 18 agosto 1990, n. L 224. Entrato in vigore il 1° gennaio 1992.

- Dec. 91/664/CEE del 11-12-1991. Decisione del Consiglio che designa i laboratori comunitari di riferimento per la ricerca dei residui di talune sostanze. G.U.C.E. 31 dicembre 1991, n. L 368.

- D.Lgs. 27-01-1992, n. 118. Attuazione delle direttive n. 81/602/CEE, n. 85/358/CEE, n. 86/469/CEE, n. 88/146/CEE e n. 88/299/CEE relative al divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica e ad azione tireostatica nelle produzioni animali, nonché alla ricerca di residui negli animali e nelle carni fresche. G.U. 18 febbraio 1992, n. 40, S.O. Atto di recepimento della Direttiva 81/602/CEE, della Direttiva 85/358/CEE, della Direttiva 86/469/CEE e della Direttiva 88/146/CEE.

- D.Lgs. 27-01-1992, n. 119. Attuazione delle direttive n. 81/851/CEE, n. 81/852/CEE, n. 87/20/CEE e n. 90/676/CEE relative ai medicinali veterinari. G.U. 18 febbraio 1992, n. 40. Atto di recepimento della Direttiva 81/851/CEE, della Direttiva 81/852/CEE, della Direttiva 87/20/CEE e della Direttiva 90/676/CEE.

- Reg. (CEE) N. 675/92 del 18 marzo 1992 recante modifica agli allegati I e III del regolamento del Consiglio (CEE) n. 2377/90 che definisce la procedura comunitaria per la determinazione dei limiti massimi di residui di medicinali veterinari negli alimenti di origine animale. G.U.C.E. del 19 marzo 1992, n. L 073.

- Reg. (CEE) n. 3093/92 del 27 ottobre 1992, che modifica l' allegato III del regolamento del Consiglio (CEE) n. 2377/90 che definisce la procedura comunitaria per la determinazione dei limiti massimi di residui di medicinali veterinari negli alimenti di origine animale. G.U.C.E. del 28 ottobre 1992, n. L 311.

- D.Lgs. 03-03-1993, n. 123. Attuazione della Direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. G.U. 27 aprile 1993, n. 97.

- Dec. 93/256/CEE del 14-04-1993. Decisione della Commissione che stabilisce i metodi da impiegare per la ricerca dei residui di sostanze ad azione ormonica e di sostanze ad azione tireostatica. G.U.C.E. 14 maggio 1993, n. L 118. Entrata in vigore il 23 aprile 1993.

- Dec. 93/257/CEE del 15-04-1993. Decisione della Commissione che stabilisce i metodi di riferimento e l'elenco dei laboratori di riferimento nazionali per la ricerca dei residui. G.U.C.E. 14 maggio 1993, n. L 118. Entrata in vigore il 23 aprile 1993.

- Dir. 93/99/CEE del 29-10-1993. Direttiva del Consiglio riguardante misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. G.U.C.E. 24 novembre 1993, n. L 290. Entrata in vigore il 16 novembre 1993.

- Reg. (CEE) n. 1430/94 del 22 giugno 1994, che modifica gli allegati I, II, III e IV del regolamento (CEE) n. 2377/90 del Consiglio che definisce la procedura comunitaria per la determinazione dei limiti massimi di residui di medicinali veterinari negli alimenti di origine animale (Testo rilevante ai fini del SEE). G.U.C.E. del 23 giugno 1994, n. L 156.

- D.P.R. 14-07-1995. Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e province autonome sui criteri uniformi per l'elaborazione dei programmi di controllo ufficiale degli alimenti e bevande. G.U. 7 novembre 1995, n. 260, S.O.

- Dir. 96/22/CE del 29-04-1996. Direttiva del Consiglio concernente il divieto d'utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze b-agoniste nelle produzioni animali e che abroga le direttive 81/602/CEE, 88/146/CEE e 88/299/CEE. G.U.C.E. 23 maggio 1996, n. L 125.

- Dir. 96/23/CE del 29-04-1996. Direttiva del Consiglio concernente le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti e che abroga le direttive 85/358/CEE e 86/469/CEE e le decisioni 89/187/CEE e 91/664/CEE. G.U.C.E. 23 maggio 1996, n. L 125.

- Circ. 03-03-1997, n. 5. Piano nazionale 1997 per la ricerca dei residui negli animali e nelle carni in applicazione del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 118. Emanata dal Ministero della sanità.

- D.Lgs. 26-05-1997, n. 155. Attuazione delle Direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti alimentari. G.U. 13 giugno 1997, n. 136, S.O.

- D.Lgs. 26-05-1997, n. 156. Attuazione della Direttiva 93/99/CEE concernente misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. G.U. 13 giugno 1997, n. 136, S.O.

- Trattato di Amsterdam che modifica il trattato sull'Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi - Versione consolidata del trattato che istituisce la Comunità europea. Gazzetta ufficiale n. C 340 del 10/11/1997.

- Dec. 98/179/CE del 23-02-1998. Decisione della Commissione recante modalità d'applicazione per il prelievo ufficiale di campioni al fine della sorveglianza su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei prodotti di origine animale. G.U.C.E. 5 marzo 1998, n. L 65.

- Dec. 98/390/CE del 20-05-1998. Decisione della Commissione che approva il piano di sorveglianza per la ricerca di residui o di sostanze negli animali vivi e nei loro prodotti, presentato dall'Italia. G.U.C.E. 19 giugno 1998, n. L 175.

- D.M. 12-05-1999. Designazione dell'organismo responsabile della valutazione e del riconoscimento dei laboratori preposti al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. G.U. 21 maggio 1999, n. 117.

- D.Lgs. 04-08-1999, n. 336. Attuazione delle direttive 96/22/CE e 96/23/CE concernenti il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze (b)-agoniste nelle produzioni di animali e le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti. G.U. 30 settembre 1999, n. 230.

- Racc. 2000/207/CE del 22-02-2000. Raccomandazione della Commissione relativa ad un programma coordinato di controlli ufficiali dei prodotti alimentari per il 2000. G.U.C.E. 10 marzo 2000, n. L 63.

- D.M. 08-08-2000. Attuazione della raccomandazione della Commissione europea del 22 febbraio 2000, n. 2000/207/CE, relativa ad un programma coordinato di controllo ufficiale dei prodotti alimentari per il 2000. G.U. 31 agosto 2000, n. 203.

- Dec. 2002/657/CE del 14-08-2002. Decisione della Commissione che attua la Direttiva 96/23/CE del Consiglio relativa al rendimento dei metodi analitici e all'interpretazione dei risultati. G.U.C.E. 17 agosto 2002, n. L 221. Data così rettificata dalla rettifica pubblicata nella G.U.C.E. 6 settembre 2002, n. L 239.

- Dec. 2003/822/CE del 17 novembre 2003, relativa all'adesione della Comunità europea alla commissione del Codex alimentarius. G.U.C.E. del 26/11/2003, n. L 309.

- Rettifica del regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali (GU L 165 del 30.4.2004).


Note:

(1) Per dare attuazione alle politiche in materia di sicurezza e qualità degli alimenti, la Comunità ha adottato principalmente due tipi di strumenti normativi: i Regolamenti e le Direttive. I primi non necessitano di normative particolari di recepimento da parte degli Stati membri, mentre le Direttive possono contenere solo principi generali della disciplina delle materie che vanno a regolare e sono rivolte ai singoli Stati membri, che devono attuarle con proprie leggi ordinarie.
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(2) recepita in Italia con il Decreto: Decreto Ministeriale 3 novembre 1981: " Divieto di vendita di medicinali (specialità di medicinali o galenici) per uso veterinario contenenti stilbenici o tireostatici";
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(3) Comprese le sostanze non registrate utilizzabili a fini veterinari.
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(4) La UNI CEI EN ISO/IEC 17025 ha sostituito nel 2000 la precedente UNI CEI EN 45001. La prima edizione della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 risale all'anno 2000. Un aggiornamento è stato effettuato con la seconda edizione nel 2005. I laboratori accreditati sono tenuti a dimostrare la propria conformità alla UNI CEI EN ISO/IEC 17025: 2005 entro il 1° Gennaio 2007.
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(5) La norma UNI CEI EN ISO/IEC 17011: 2005 ha sostituito la precedente EN 45003.
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(6) L'assegnazione dei LCR può subire variazioni nel tempo a seguito dell'attività ispettiva della UE. Nel 2006, ad esempio, alcune competenze del LCR assegnato all'Italia sono state rimesse in discussione e, allo stato attuale, l'ISS è il Laboratorio di Riferimento europeo solo per gli elementi chimici.
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(7) Allegato V, cap. 2 della Direttiva del Consiglio 96/23/CE.
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(8) Articolo 14 della Direttiva del Consiglio 96/23/CE.
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(9) Va precisato che, per quanto riguarda la definizione dei limiti inferiori di una procedura esiste una certa disomogeneità a livello internazionale. Senza entrare qui nel merito della discussione, vale la pena di ricordare che alcuni documenti e normative introducono definizioni diverse dal LOD che tengono più correttamente conto dell'errore falso positivo (alfa) e falso negativo (beta). Tra questi, ad esempio, la Decisione 2002/657/CE che parla di CCalfa e CCbeta.
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(10) Recepita con il D.Lgs. 03/03/1993 n. 123. Attuazione della Direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari.
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(11) Recepita con il D.Lgs.26/05/1997, n.156. Attuazione della Direttiva 93/99/CEE concernente misure supplementari in merito al controllo ufficiale dei prodotti alimentari. Sia la Direttiva 89/397/CEE che la 93/99/CEE sono state abrogate con effetto dal 1° gennaio 2006 dall'articolo 61 del Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali (GU L 165 del 30.4.2004).
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(12) I laboratori adibiti al controllo ufficiale sono quelli precisati all'articolo 7 della 89/397/CEE.
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(13) Precedentemente, con il nome di SANCO/1085/2000, era stata diffusa una bozza di revisione della Decisione 93/256/CE.
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(14) Regolamento (CEE) n. 2377/90
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(15) Recepita dal Decreto Ministeriale del 5 marzo 2003 (G.U. n°78 del 03/04/2003). La Direttiva 2001/22/CE è stata modificata dalla 2005/4/CE del 19 gennaio 2005 recepita dal Decreto Ministeriale del 18 aprile 2006 (G.U. n°147 del 27/06/2006).
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(16) Recepita dal Decreto Ministeriale del 4 marzo 2005 (G.U. n°118 del 23/05/2005).
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(17) Recepita dal Decreto Ministeriale del 13 dicembre 2005 (G.U. n°41 del 18/02/2006).
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(18) Recepita dal Decreto Ministeriale del 18 aprile 2006 (G.U. n°147 del 27/06/2006).
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