Webzine Sanità Pubblica Veterinaria

Numero 29 - marzo-aprile 2005 [http://spvet.it]
Documento reperibile all'indirizzo: http://spvet.it/indice-spv.html#274

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BSE control: individuation of animal flour residues in feed.
Controllo della BSE: individuazione di residui di farine animali nei mangimi



Chiasseerini D.


Summary - Starting from previous research activities carried out from Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche (Haouet M.N., Cenci T., 2001), this paper was aimed at furnishing a survey on method of analysis for animal meal in feeds, focusing the attention on the last three years developments. The official analysis method approved by European Commission, based on optical microscopy (1998) is first described.
In order to resolve the limitations about costs and staff specialization of the official technique, alternative methodologies in development are described.
Infrared microscopy (http://stratfeed.cra.wallonie.be/) could supply statistically objective method to reveal meat and bone meal in feeds.
Immunoassay methods (Boix et al.(2003), Gizzi et al.(2004),von Holst et al. (2004), Muldoon et al.(2002)) are characterised by simplicity and fast execution.
Polimerase Chain Reaction (PCR) (Brodmann et al.(2003), Dalmasso et al.(2004), Haouet et al. (2004), Frezza et al.(2003),Lahiff et al.(2001), Tartaglia et al.(1998)), one of the most experimented techniques, is based on DNA individuation in feeds.
Chromatographic and mass-spectrometry techniques (Aristoy et al.(2004), Fernandez Ocana et al.(2004), Nardiello et al.(2004), Schonherr et al.(2002)) could be able to reveal particular dipeptides like anserine, carnosine e balenine, which are present in animal tissues.
Finally, advantages and limitations of all of these methodologies are described, underlying the future developments.

Riassunto - Partendo da precedenti attività di ricerca svolte dall'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche (Haouet, Cenci 2001), con questa review si intende fornire una panoramica sulle metodologie di rilevamento di farine animali nei mangimi, con particolare attenzione agli sviluppi degli ultimi tre anni.
Viene descritta brevemente la metodica ufficiale approvata dall'Unione Europea, basata sulla microscopia ottica (1998) che prevede l'individuazione di frammenti ossei nei mangimi.
Parallelamente alla metodica ufficiale si stanno sviluppando tecniche alternative che potrebbero risolvere i problemi di costo e specializzazione della tecnica ufficiale.
Si descrive inizialmente la microscopia infrarossa, complementare alla tecnica ottica e che potrebbe fornire una valutazione statisticamente oggettiva (http://stratfeed.cra.wallonie.be/).
In seguito si descrivono i saggi immunologici (Boix et al.(2003), Gizzi et al.(2004),von Holst et al. (2004), Muldoon et al.(2002)) che sono caratterizzati da velocità e praticità di esecuzione.
Una delle tecniche più sperimentate è la Polimerase Chain Reaction (PCR) (Brodmann et al.(2003), Dalmasso et al.(2004), Haouet et al. (2004), Frezza et al.(2003),Lahiff et al.(2001), Tartaglia et al.(1998)) che permette di individuare DNA esogeno proveniente da residui animali, eventualmente presenti nei mangimi.
Per ultime vengono descritte le tecniche cromatografiche e di spettrometria di massa (Aristoy et al.(2004), Fernandez Ocana et al.(2004), Nardiello et al.(2004), Schonherr et al.(2002)) tramite le quali si individuano particolari dipeptidi quali anserina, carnosina e balenina, presenti nei tessuti animali. Di tutte le tecniche vengono inoltre decritti i vantaggi e le limitazioni, mettendo in evidenza possibili ulteriori sviluppi.

Introduzione
Prima dell'epidemia di encefalopatia spongiforme bovina (Bovine Spongiform Encephalopathy - BSE) in Europa, una delle fonti proteiche meno costose per l'alimentazione dei bovini era rappresentata dalle farine animali. Queste vengono prodotte riciclando gli scarti di macellazione di bovini e suini attraverso un processo detto di rendering.
Già dal 1988, si era fatta strada l'ipotesi che le farine animali di carne e ossa (Meat and Bone Meal) fossero responsabili del contagio fra animali, attraverso la veicolazione dei prioni, agenti eziologici responsabili della BSE.
A partire dagli anni 90, si susseguono le direttive atte ad impedire l'utilizzo di proteine animali trasformate (PAP) nell'alimentazione dei ruminanti, prima in Inghilterra e poi, nel 1994, in tutta Europa (Decisione della commissione CEE 381/1994).
Parallelamente, sono state modificate anche le condizioni di rendering,(Decisioni UE 449/96 e 534/99) imponendo il trattamento degli scarti di macellazione ad una temperatura di 133°, con una pressione prodotta mediante vapore saturo maggiore o uguale a 3 bar, per 20 minuti, senza interruzioni; al fine di minimizzare il rischio di trasmissione del prione.
Nel 1998, la Commissione Europea indica la metodica microscopica come metodo ufficiale di individuazione delle farine animali nei mangimi, valutandola come l'unica in grado di determinare con sufficiente precisione la presenza di componenti proibiti.

Gli studi di seguito citati sono stati reperiti tramite Basi di dati quali PubMed, ASFA, Medline, con accesso tramite interfaccia WebspirsTM , Science DirectTM . Sono stati utilizzati motori di ricerca generalisti quali Scirus (http://www.scirus.com) e Google Scholar (http://scholar.google.com), oltre che pubblicazioni nella BBS dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche.(http://www.izsum.it).
La parte legislativa è stata reperita nel sito del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nella sezione BSE (http://www.politicheagricole.it) e nel sito della legislazione europea (http://europa.eu.int/eur-lex/it).

METODOLOGIE: Microscopia ottica
La metodica ufficiale per l'individuazione di farine animali nei mangimi, adottata in Europa dal 1998, è quella microscopica. Essa si basa sull'identificazione di frammenti ossei e permette il riconoscimento di residui animali provenienti da classi diverse (mammifero, volatile, pesce). Le farine animali attualmente in commercio sono rappresentate essenzialmente da:
Queste tipologie di farine animali sono costituite da una base di elementi comuni, quali fibre muscolari, gelatina e sangue. Possiedono anche peculiarità che derivano dai caratteri specifici dei tessuti ossei. Inoltre possono essere presenti formazioni di natura cornea, come peli, unghie, corna nei mammiferi, penne e piume nei volatili, oppure di natura connettivale come le scaglie dei pesci.
Questi elementi, dopo la fase di lavorazione delle farine animali, rimangono inevitabilmente come "marcatori" e vengono individuati dall'analisi microscopica. Recentemente, in seguito a studi intercomparativi (Gizzi et al. 2003; Raamsdonk L.W.D. et al. 2003), la metodologia è stata rivista per migliorarne la capacità di discriminazione.
In particolare sono state proposte modifiche alla quantità di campione iniziale da analizzare, passando da 15 grammi a 50 grammi, l'introduzione dell'idrossido di sodio o di potassio che chiarificano il materiale del mangime, aiutando l'individuazione di strutture a base di cheratina.
La metodica prevede una prima fase di preparazione del campione in cui tramite estrazione in tetracloruro di carbonio o tetracloroetilene, si separa la fase surnatante contenente i materiali di natura organica da quella inorganica contenente i sali minerali e i tessuti calcificati.
Le due fasi vengono poi analizzate: prima vengono osservati i frammenti di maggiori dimensioni allo stereomicroscopio, poi al microscopio ottico. Devono essere ricercati:

La sensibilità di questo metodo si attesta intorno a una soglia dello 0,1% di contaminazione. L'analisi delle farine animali mediante microscopia presenta però alcune limitazioni:

Un esempio delle difficoltà di interpretazione dei risultati prodotti mediante questa tecnica è costituito da un esperimento effettuato dall'IZS-UM nel 1999, in cui alcuni frammenti ossei di volatile, in particolare tacchino (Mondini et. al (1999), e frammenti di animali marini (balena, delfini) (Haouet et al., 2002) potevano essere classificati come di mammifero terrestre (figure 1 e 2).


Figura 1: Frammenti di gallina tacchino e bovino

Fonte: Mondini et al.1999



Figura 2: Frammenti ossei di balena

Fonte: Haouet et al. 2002


Per superare tali limitazioni, si stanno sviluppando nuove metodiche sperimentali.


Microscopia ad infrarosso

Metodo complementare alla microscopia ottica. La strumentazione è composta da uno spettrofotometro in Trasformata di Fourier abbinato ad un microscopio ottico (FT-NIR).
Questo tipo di analisi fornisce informazioni sulla struttura molecolare delle particelle analizzate ed è comunemente utilizzata per determinare parametri chimici e biologici nell'analisi dei prodotti alimentari. La tecnica è in corso di sperimentazione sin dal 1998, in Italia dal 2001 (Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta, Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e della Toscana, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna), e potrebbe fornire un tipo di valutazione oggettiva, analizzabile statisticamente.
Il riconoscimento si basa sulle differenze spettroscopiche tra i vari componenti dei mangimi, vengono pertanto acquisiti gli spettri dei costituenti vegetali dei mangimi e spettri di farine animali pure, in modo da costruire un database di riferimento. Lo spettro ottenuto sperimentalmente dal mangime viene poi confrontato con quello di riferimento, presente nel database, in modo da discriminare l'origine dei vari componenti.
La ricerca effettuata dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali italiani sopracitati ha permesso di definire le potenzialità di questa tecnica. Essa consente di distinguere con un limite di rilevabilità dello 0,1% le farine animali nei mangimi, fornendo un risultato oggettivo e veloce rispetto alla metodica ottica. E' stata anche analizzata la possibilità di distinguere le classe zoologica di appartenenza, costruendo una banca dati di riferimento di frammenti ossei provenienti da specie animali differenti. La metodologia in questo caso non è però risultata totalmente affidabile.
La tecnica NIR consente di lasciare il campione inalterato; quindi esiste la possibilità di caratterizzare la provenienza zoologica degli eventuali frammenti ossei, tramite successive analisi in microscopia ottica. La spettroscopia FT-NIR potrebbe essere impiegata come metodo complementare al metodo ufficiale o anche come metodologia alternativa, sia poiché fornisce una valutazione oggettiva indipendente dall'esperienza dell'analista, sia perché si adatta molto bene ad esigenze di routine, garantendo la possibilità di analizzare grandi quantità di campioni in modo semplice e rapido.
Al momento non esistono studi comparativi interlaboratorio che ne attestino la validità a livello europeo; la Commissione Europea ne ha previsto uno per il 2005.


Tecniche immunoelettroforetiche ed immunoenzimatiche (saggio ELISA)

Si basano su reazioni anticorpo-antigene e permettono l'individuazione di proteine proibite nei mangimi. Questo tipo di tecniche potrebbe fornire un test rapido di screening a basso costo. Gli anticorpi utilizzati sono di tipo monoclonale e vengono prodotti secondo metodiche standard (immunizzazione di conigli o topi tramite estratti di farine di carne o utilizzo di linee cellulari di ibridomi). I target degli anticorpi devono essere proteine presenti solamente nella farine animali, per non creare problemi di specificità e di false positività.
Bisogna considerare che, durante il processo di rendering, le farine devono subire un trattamento sterilizzante a condizioni di 133° con una pressione di 3 bar, per un tempo di 20 minuti, per minimizzare la possibilità di contaminazione prionica. Il trattamento denatura le proteine presenti nel campione e non permette l'individuazione degli epitopi presenti in condizioni naturali. Per lo sviluppo di test immunologici, si devono utilizzare quindi, come target, proteine termostabili o proteine processate, sottoposte a rendering.
Recenti studi comparativi (Gizzi et al. 2004, Boix et al. 2004) hanno analizzato la sensibilità di numerosi test presenti in commercio, testando la capacità di discriminazione di differenti concentrazioni di farina animale prodotta a differente temperatura. Sperimentalmente si è visto che la sensibilità di questi metodi è intorno allo 0,5%. Attualmente quindi i saggi immunologici non raggiungono la sensibilità della tecnica microscopica (0,1%).
Un altro campo di applicazione dei test immunologici è la validazione del trattamento sterilizzante a cui vengono sottoposte le farine animali. Sono stati sviluppati infatti test rapidi, basati su saggi immunologici ELISA per valutare se i derivati animali vengono sottoposti ad un appropriato trattamento al calore, essi sono diretti contro proteine di derivazione porcina e sono in grado di fornire una valutazione precisa e riproducibile (von-Holst et al . 2000).
Più che come tecniche autonome, attualmente i saggi immunologici si potrebbero utilizzare prevalentemente come test rapido di supporto alla microscopia ottica.


PCR

La reazione a catena della polimerasi è oggi una delle tecniche più sperimentate, grazie alla sua semplicità concettuale. La tecnica sfrutta una proprietà dell'enzima DNA polimerasi, la capacità di allungare una catena di DNA a partire da un primer, cioè da una sequenza oligonucleotidica sintetizzata chimicamente. La PCR permette l'amplificazione selettiva di un tratto di DNA, di cui è obbligo conoscere solamente una parte della sequenza a monte e a valle.
Se il DNA d'interesse viene sottoposto a riscaldamento, questo si separa nelle sue due catene costituenti; aggiungendo alla miscela di reazione i primer e abbassando la temperatura, questi si andranno ad appaiare alle sequenze complementari (annealing). La DNA polimerasi può quindi iniziare a sintetizzare il filamento di acido nucleico utilizzando oligonucleotidi aggiunti alla soluzione, a partire dall'innesco fornito dal primer. Ripetendo i cicli di riscaldamento e di annealing si otterrà un'amplificazione esponenziale del tratto di DNA compreso tra i due primer.
La tecnica identifica quindi DNA residuo di animali presente negli alimenti per animali, e al contrario della microscopia può, previa sintesi di primer specie-specifici, distinguere la eventuale presenza di residui provenienti da specie diverse (Lahiff et al., 2001).
Generalmente come DNA target da amplificare viene utilizzato quello mitocondriale e in particolare il gene per la subunità 8 e la porzione ammino-terminale del gene per la subunità 6 dell'ATPasi mitocondriale (Tartaglia et al. 1998). Viene scelto il DNA mitocondriale perché presente in numero più elevato di copie ed è meno conservato rispetto a quello genomico, utilizzando primer specie-specifici, la probabilità che le sequenze siano omologhe tra specie diverse è quindi significativamente minore. Allo stesso tempo i primer devono avere un alto grado di conservazione all'interno della stessa specie.
Altri geni target sono quelli codificanti l'ormone della crescita bovino (BGH) (Brodmann 2003) e ulteriori geni mitocondriali, codificanti rRNA per la subunità 16s ribosomiale e il tRNA per la valina (Bottero et al., 2003) e per la lisina.(Frezza et al. 2003). La lunghezza del tratto amplificato varia da 300-200bp fino ad un minimo di 60-70 bp.
Uno dei problemi relativi all'utilizzo di questa tecnica è il trattamento obbligatorio ad alte temperature a cui vengono sottoposte le farine animali. In queste condizioni, il DNA tende a frammentarsi, portando alla diminuzione della resa, poiché diminuisce la quantità di DNA stampo disponibile per l'amplificazione. Proprio per questo motivo è stato studiato anche l'utilizzo di template di piccola dimensione che può favorire un aumento della capacità di discriminazione della PCR anche per farine trattate a 133° (Brodmann 2003).
Un'altra possibilità interessante che offre la PCR è la possibilità di quantificare il DNA presente nei mangimi utilizzando tecniche quali Real Time PCR o PCR competitiva (Frezza et al.2003, Brodmann 2003). La quantificazione sarebbe importante per un eventuale distinzione tra contaminazione fraudolenta e fenomeni di cross contamination.
D'altra parte però questo metodo identifica la quantità di DNA target presente nel campione e non direttamente le proteine presenti; risulta quindi difficile usare questo parametro, dato che non esiste una relazione diretta tra la quantità in peso di MBM e la quantità di DNA da amplificare che è influenzata invece dalle condizioni di rendering.
Un ulteriore problema delle tecniche basate su PCR è che la presenza di DNA animale non è indice inequivocabile di presenza di proteine animali o MBM. Infatti il DNA potrebbe provenire da derivati del latte e delle uova, che allo stato attuale non sono proibiti nei mangimi (Decisione della Commissione Europea 2002/248/CE).
L'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Umbria e delle Marche ha effettuato una ricerca finanziata dal Ministero della Salute per lo sviluppo di una metodica basata sulla PCR, per l'individuazione di farine animali. In particolare sono stati disegnati primer specie specifici per bovino, suino, pollo, ovino ed equino, usati contemporaneamente in PCR multiplex e primer per l'individuazione di mammifero e volatile (Haouet, 2004). Nella sperimentazione è stato evidenziato un aspetto sensibile della metodica, dovuto all'entrata in vigore del Regolamento CE/1774/2002 nell'ottobre 2003, che imponeva il trattamento a condizioni di rendering molto spinte, portando alla distruzione del DNA target.
La perdita di sensibilità dovuta al trattamento, ha portato alla modificazione del protocollo di sperimentazione, abbassando la temperatura di annealing (con conseguente perdita di specificità) e separazione dell'amplificato in gel di agarosio molto denso. La modificazione ha permesso di attestarsi ad un limite di rilevabilità dello 0,25%.
La presenza di contaminanti di origine animale, permessi dai regolamenti attualmente in vigore, come derivati del latte e delle uova, va ad influenzare i risultati portando a problemi di false positività. Questi possono essere risolti estraendo il DNA dal sedimento, ottenuto mediante separazione con tetracloetilene, come da analisi microscopica e poi sottoponendolo ad amplificazione mediante PCR.


Tecniche cromatografiche e spettrometria di massa.

È una tecnica emergente; si basa sull'identificazione di particolari dipeptidi presenti solamente nelle carni degli animali, quali anserina (-alanil-L-1-metil istidina), carnosina (?-alanil-L-istidina) e balenina (?-alanil-L-3-metil istidina).
Queste piccole molecole sono state notevolmente studiate, per le loro capacità tamponanti e antiossidanti, oltre che per il ruolo come neurotrasmettitori e per la loro azione vasodilatatoria. Una caratteristica importante è che il rapporto tra questi dipeptidi varia con la specie; infatti, l'anserina è più abbondante negli uccelli mentre l'insieme carnosina e anserina sono molto presenti nei mammiferi. L'uomo possiede solo la carnosina. Calcolando il rapporto tra i due peptidi si può quindi risalire alla classe di appartenenza. Nel 2002, l'analisi dei peptidi è stata proposta come metodo per individuare residui animali nei mangimi (Schonherr, 2002). Le prime sperimentazioni presentavano però una manipolazione complessa del campione, con conseguente perdita dello stesso.
Negli ultimi due anni, sono state messe a punto tecniche più semplici (Toldrà et al. 2003; Cataldi et al., 2004) con una sensibilità maggiore, che in alcuni casi arriva fino allo 0,1%.
Le tecniche più semplici si basano solo su HPLC a scambio cationico o in fase inversa con eluizione dei peptidi con solventi organici e rilevazione tramite sistemi che variano a seconda dei laboratori. Per l'individuazione della carnosina e della anserina, nell'ultimo anno si è assistito ad un crescente utilizzo della spettrometria di massa, accoppiata alla cromatografia in fase liquida (LC-MS). Questa tecnica prevede una prima separazione tramite cromatografia in fase inversa, poi il campione, ionizzato tramite flusso di elettroni (elettrospray - ESI), è analizzato in spettrometria di massa. Durante il processo di ionizzazione, la molecola dà luogo ad uno spettro di massa sperimentale che viene confrontato con quelli teorici presenti nella banca dati, permettendo il matching e quindi l'identificazione del composto.
La tecnica si è rilevata sensibile, anche se in alcuni casi la presenza di farina di pesce interferisce con l'identificazione delle sostanze (Gizzi et al., 2004). Le tecniche di spettrometria di massa sono state applicate anche per l'individuazione di residui di gelatina nei mangimi; che rappresenta una delle limitazioni della tecnica microscopica, incapace a rilevare questo composto. La gelatina proveniente da ruminanti non può infatti essere usata come componente nei mangimi (Regolamento della Commissione Europea 1234/2003).
Frammentando tramite idrolisi chimica le proteine estratte da mangimi contaminati con gelatina e poi analizzando i peptidi ottenuti, è stato possibile identificare la gelatina in mangimi contaminati (Patel, Ocana, 2003).

Conclusione
LLa ricerca di un metodo rapido, efficace e a basso costo per l'individuazione di farine animali nei mangimi ha portato ad un significativo miglioramento delle metodologie in uso. La Commissione Europea finanzia studi comparativi interlaboratorio per migliorare il metodo ufficiale in uso e per valutare l'efficacia delle nuove metodologie.
La Commissione ha finanziato il progetto STRATFEED (http://stratfeed.cra.wallonie.be) che si è concluso nel giugno 2004.
Ulteriori finanziamenti sono stati concessi per due studi circolari coordinati dall'Istituto dei Materiali e Misure di Riferimento del Centro Comune di Ricerca della Commissione (IMMR-CCR), il primo del 2003 e il secondo del 2004.
I risultati aggiornati a settembre 2004 confermano l'alto potere discriminante della microscopia ottica, specialmente con le modifiche al protocollo introdotte nel 2003 (Direttiva 2003/126/CE della Commissione europea). Gli sviluppi futuri per questa tecnica si basano soprattutto sulla organizzazione di ulteriori corsi di formazione specializzata e su prove di competenza del personale.
I saggi immunologici hanno invece riportato a buoni risultati, con un miglioramento della specificità e della sensitività; punto di forza è la semplicità e la necessità di operatori poco specializzati. La microscopia ad infrarosso non è ancora stata validata da studi comparativi, ma rappresenta un metodo ad alto potenziale soprattutto per l'approccio oggettivo e statistico e per la capacità di processare un alto numero di campioni.
Neanche le tecniche cromatografiche e di spettrometria di massa sono state pienamente incluse negli studi sopracitati; infatti è stata utilizzata questa tecnica solo in un laboratorio dei 50 facenti parte del progetto, riportando peraltro buoni risultati sia a livello di specificità che di sensibilità (0.1%).
La PCR è la tecnica su cui attualmente si concentra la maggior parte della ricerca, la semplicità e la possibilità di distinguere in maniera precisa la provenienza zoologica dei residui animali nei mangimi, ne fanno probabilmente, la tecnica su cui in futuro si baserà individuazione di farine animali; anche se allo stato attuale rappresenta una valida tecnica complementare e non alternativa a quella microscopica, principalmente per i problemi legati alla sensibilità.



Sintesi delle caratteristiche dei metodi reperiti in letteratura




BOX 1
Riportiamo il primo caso di BSE nei caprini.
(http://europa.eu.int/comm/food/index_en.htm)

Il 28 gennaio 2005 la Commissione europea ha confermato ufficialmente dopo un periodo di test di due anni, un primo caso di BSE in una capra macellata in Francia nel 2002. Questo rappresenta il primo caso di encefalopatia spongiforme bovina in un piccolo ruminante. Nonostante sia la prima volta che la BSE venga trovato in una capra la UE, da anni, ha messo in opera misure precauzionali per minimizzare il rischio per i consumatori.

Il commissario europeo per la Protezione della Salute e del consumatore, Markos Kyprianou, ha voluto rassicurare i consumatori affermando che il sistema di test messo in atto da anni in Europa, offre un elevato livello di protezione e che l'incidenza della BSE nelle capre risulta essere estremamente bassa. Il rischio per il consumatore risulta essere quindi minimo, dato che la Commissione europea ha già proposto di aumentare il livello di guardia per determinare se si tratta di un caso isolato, approvando un aumento dei test riguardanti le capre per almeno sei mesi in tutti i paesi membri, in particolar modo in quelli in cui è diffusa la BSE nei bovini.

Uno dei fattori che induce a catalogare questo avvenimento come un caso isolato, è che sin dal 2001 esiste un totale divieto di utilizzo di farine animali per i mangimi di tutti gli animali da fattoria; quindi la maggior parte delle capre viventi in Europa sono nate dopo l'approvazione del divieto.

Per quanto riguarda il latte e il formaggio caprini, non si hanno evidenze sperimentali che possano quantificare un eventuale rischio. La normativa prevede comunque che il latte e la carne provenienti da capre affette da BSE non devono essere usati, e che tutti i materiali a rischio (i tessuti in cui si localizza l'infezione) devono essere rimossi anche dagli animali sani.

La Commissione Europea ha comunque chiesto all'European Food Safety Authority, di preparare un prospetto di rischio, per i prodotti caprini e per la carne, che sarà pronto per luglio 2005.

BIBLIOGRAFIA

Legislazione
Normative Nazionali



Normative Europee

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